sabato 22 settembre 2018

PORTA "SIRENA" E' UN FALSO STORICO. PERCHE'?



Tutti conosciamo "Porta Sirena", la porta orientale dell'antica città di Poseidonia, che da verso le colline. Non tutti sanno però che il bassorilievo, che gli ha dato il nome, non rappresenta una sirena ma probabilmente una scilla.

Infatti se guardiamo alle rappresentazioni delle sirene in età classica, esse sono raffigurate come esseri per metà uccelli. Un esempio evidentissimo è il coccio di vaso ritrovato proprio a Posidonia-Paestum a gennaio di quest'anno (fig. 2). Qui la "sirena" è rappresentata come alata.

fig. 2


Altro esempio è uno stámnos attico a figure rosse rinvenuto a Vulci -del V secolo a.C. conservato presso il British Museum, che rappresenta Odisseo (Ulisse) e le sirene (fig. 3).

Fig. 3


Ad essere rappresentate come donne metà pesci erano le scille.

Ancora una volta l'iconografia di età classica ci viene in aiuto.
Un esempio è la placca di terracotta di Melos della seconda metà V sec. a.C., ritrovata ad Egina e conservata a Londra al British Museum (fig. 4) o la Scilla raffigurata su un cratere greco conservato al Louvre (fig.5). 


Fig. 4

Fig. 5


Ma allora perché noi moderni immaginiamo le sirene come metà pesci?

Tutto comincia nell'alto medioevo. Scrive infatti un anonimo anglosassone dell'VIII secolo d.C. nel Liber monstrorum de diversis generibus:


"Le sirene sono fanciulle marine che ingannano i naviganti con il loro bellissimo aspetto ed allettandoli col canto; e dal capo e fino all'ombelico hanno il corpo di fanciulla e sono in tutto simili alla specie umana; ma hanno squamose code di pesce che celano sempre nei gorghi"

La confusione continua nelle rappresentazioni medioevali in ambito sacro e profano (fig. 6).

Fig. 6


Ed è infatti a tali rappresentazioni che si ispira anche lo stemma della famiglia Bellelli (fig. 7).

Fig. 7


In realtà neanche i primi viaggiatori del Grand Tour in pieno settecento avevano piena cognizione di cosa fosse realmente raffigurato sull'architrave della porta orientale.
Lo stesso Paolo Antonio Paoli, nella sua opera "Rovine della città di Pesto, detta ancora Posidonia" del 1784,  si limita a parlare di una figura col petto d’una donna, che altri interpretarono come un grifo, una sirena o una nereide.

Quindi possiamo con sicurezza solo dire che se la donna raffigurata sull'architrave della porta che guarda verso le colline di Capaccio ha delle code di pesce, non si tratta di una sirena, ma di una scilla. Ma in realtà non abbiamo, pare, neanche sicurezza di ciò.


Nota:
La figura 1 è un ingrandimento di un'immagine tratta dall'opera del Paoli (op. cit,).




sabato 15 settembre 2018

MERCATI E COMMERCIO NELLA CAPACCIO DELL'ANTICHITÀ.






La volontà di vivacizzare l'economia locale non mancò agli amministratori dell'800.
Un esempio è quello di un sindaco dell'epoca, il barone de Marco, che chiese all'Intende (1) il permesso di tenere un mercato settimanale, che con l'eversione della feudalità era venuto meno.

Questo mercato aveva origini antichissime se nei documenti cavensi è già citato nel XII secolo.

Si teneva nei pressi della Chiesa di San Nicola, allora piccola abazia benedettina, alla falde del Monte Calpazio presso Capo di Fiume, dove sorgeva l'abitato di Casavetere di Capaccio.

Così il redivivo mercato settimanale venne ad aggiungersi alle tre fiere allora in voga: quella che si teneva in paese in occasione dei festeggiamenti di S. Antonio in giugno, quelle dell'Annunziata a Paestum il 25 Marzo e l'altra il 15 agosto per i festeggiamenti dell'Assunzione di Maria, o meglio della Madonna del Granato, nella chiesa di Capaccio Vecchio.

Cosa si vendeva in queste fiere?

Un po' di tutto, tra cui molti animali come cavalli, pecore ed altri da macello, come si evince da un rapporto del sindaco di Capaccio all'Intendenza.

Inoltre i Capaccesi portavano le loro produzioni anche in mercati di altre cittadine.

Tutte le specie di animali si vendevano due volte all'anno alla Fiera di Eboli, a settembre a quella di Salerno, alla dogana di Salerno invece si vendevano i generi delle derrate ed al Mercato Grande di Napoli le provole.

Ma prima della Fiera dell'Annunziata a Paestum ve ne si teneva anche un'altra più antica nell'ultima domenica di maggio, dedicata ad un santo ormai ignoto ai giorni nostri, cioè San Apollonio.

Fiere molto frequentate e dove probabilmente gli abitanti delle località vicine confluivano per commerciare anche dei beni da loro prodotti e degli animali allevati oltre che a registrare la presenza di numerosi mercanti forestieri.

L'importanza in particolare della fiera di S. Apollonio ci è data dall'obbligo dell'Università (il Comune dell'epoca) di fornire quale obbligo verso il feudatario un certo numero di uomini per rinforzare la “bandiera” del Conte, col compito di mantenere l'ordine e riscuotere le tasse dai mercanti che vi facevano affari.

Ma è in una relazione ad “limina” del Vescovo Bonito del 1682 che si evince il “ruolo” di aggregazione che la Chiesa dell'Annunziata ancora svolgeva in quell'epoca quando afferma la necessità dei lavori di restauro da lui fatti eseguire per “la grande affluenza di lavoratori e pastori, che la frequentavano per assolvere i loro doveri religiosi, e dalla vivacità dei mercati, che vi si tenevano durante la festa della SS. Annunziata”.



Note:
1 - L'Intende era la massima autorità provinciale.