martedì 30 luglio 2019

CAPACCIO 1385: LA FUGA DI PAPA URBANO VI DA NOCERA AL PORTO FLUVIALE DI MERCATELLO SUL SELE



Nel 1385 Papa Urbano VI, al secolo Bartolomeo Prignano, è assediato a Nocera dalle truppe fedeli a Carlo III di Durazzo, Re Di Napoli.

In realtà i rapporti iniziali fra i due furono più che ottimi.
Carlo di Durazzo era stato contrapposto dallo stesso Urbano VI a Giovanna I d'Angiò, quale sovrano di Napoli.
La regina aveva sostenuto l'elezione di Roberto di Ginevra quale antipapa, che prese il nome di Clemente VII.
Cosa gravissima perché Napoli era uno stato vassallo della Chiesa.
Urbano VI reagì dichiarando Giovanna d'Angiò eretica e scismatica ed in quanto sua vassalla la depose da sovrana del Regno di Napoli, sciogliendo i suoi sudditi dal vincolo di fedeltà.
Ma ciò non era bastevole a scalzare l'odiata regina dal suo trono. Era necessario individuare un avversario che materialmente portasse a termine tale proposito.
Il candidato ideale era Carlo di Durazzo, anch'egli un angioino, cresciuto alla corte di Luigi d'Ungheria, un altro ramo degli angioini avversario di quello di Napoli.
Questo riesce nell'impresa e nel 1381 entra in Napoli.
Poco dopo la stessa Regina Giovanna, catturata ed imprigionata, muore assassinata.

I problemi tra il nuovo sovrano di Napoli ed il Papa iniziano quando Carlo non immette nel possesso di alcuni feudi promessi il nipote del Papa, il gran Camerario del Regno, Francesco Putignano.
A peggiorare le cose fu la difesa di alcuni importanti cardinali da parte del nuovo Re. Cosa che portò ad un altro dei tanti conflitti tra il potere temporale e quello spirituale, che si concluse con l'arresto del Papa.
Questi dovette aderire ad un accordo nei termini posti dal sovrano di Napoli.
Probabilmente perché nel frattempo si era mosso alla conquista del Regno di  Napoli Luigi I d'Angiò, duca di Provenza, nemico comune di entrambi i protagonisti della nostra storia.

Luigi di Provenza muore in Puglia, dove Carlo III si era recato a combatterlo.

Il Papa ne approfitta per allontanarsi da Napoli e asserragliarsi nella città di Nocera, feudo del nipote.

Nel gennaio del 1385 il Papa ordinava l'arresto di sei cardinali, accusati di aver congiurato contro di lui su mandato del sovrano napoletano.
Lo scontro si acuisce ancora con l'arresto dei parenti e partigiani del papa che si trovavano a Napoli.
Intanto veniva posto l'assedio al castello di Nocera.
Il 15 gennaio il papa a sua volta depose e scomunicò il re e la regina, ritenendoli non a torto complici della congiura destinata a rovesciarlo. Pose quindi sotto interdetto la capitale e ogni terra sottoposta ai sovrani, che resta però inefficace.

Per favorire la ricerca di una soluzione pacifica del conflitto, in febbraio Carlo III riduceva l'assedio di Nocera, ma Urbano VI restò irremovibile nei suoi propositi.
Il rifiuto del papa alle trattative, ma più ancora la scoperta delle trame pontificie e soprattutto l'arrivo a Nocera, nel marzo 1385, delle prime truppe avverse alla dinastia reale al comando di Raimondo del Balzo Orsini, indussero il Re a riprendere le azioni di guerra, che culminarono il 24 marzo con la cattura del nipote del papa.

Le azioni militari si alternavano però a nuovi, ma vani, tentativi di intavolare una trattativa, secondo una politica che rifletteva, oltre gli interessi, forse anche lo stesso temperamento del re, più incline alla diplomazia che alla guerra, finché il 7 luglio gli assedianti vennero posti in fuga da Tommaso Sanseverino, che riuscì a liberare il papa.

Il papa fugge con i suoi tesori, portando inoltre con sé quali prigionieri alcuni cardinali a lui ostili.

 La fuga si svolge verso sud, attraverso le montagne alle spalle di Salerno per giungere nella piana del Sele presso un porto fluviale, dove si imbarca su delle galee genovesi, non prima di aver lasciato i suoi tesori agli interessati soccorritori.

 La vicenda è raccontata dal segretario del papa, Teodorico di Niem (Dietrich von Niem), nella sua opera De Schismate, redatta fra il 1407 e il 1410: l'autore è credibile, in quanto narra fatti ai quali partecipa personalmente.

La località portuale alla quale si fa riferimento nella narrazione di Teodorico di Niem è situata sul fiume Sele, probabilmente il porto di Mercatello.

Papa Urbano VI.


Egli racconta che papa Urbano, mentre si trovava assediato a Nocera, mandò un'ambasciata al comandante genovese, sollecitandolo “affinché giungesse in suo soccorso per mare con dieci galee armate entro un certo termine nella fortezza fluviale dopo Salerno”.

Da tenersi presente che le galee, le navi da guerra medievali a vela, solitamente con due alberi, e con circa 30 remi per fiancata, giungevano a 50 metri di lunghezza e 7 di larghezza, con un pescaggio di 2 metri.
Quindi il luogo dell'appuntamento dato dal papa non doveva essere certo un posto qualsiasi della costa, ma un porto in qualche modo attrezzato e capace di ospitare tali navi, mettendo in previsione anche una eventuale lunga attesa finché fosse riuscito a liberarsi dall'assedio. Parimenti, nel caso fosse arrivato prima il papa, doveva essere possibile trovare alloggio e difesa nel castrum.

Racconta Teodorico di Niem che il papa con i suoi curiali e gli oggetti preziosi, “attraverso gli altissimi gioghi dei monti che circondano Salerno, in un certo qual modo impenetrabili...” arrivò “nella vallata dall'altro lato degli stessi monti, più con la fortuna che con il valore”.

La carovana così giunge, secondo alcune interpretazioni, nella piana del Sele, presso un porto fluviale dove sarebbero dovute arrivare le galee genovesi.

L'attesa però non è affatto tranquilla.

Scrive Claude Fleury nella sua Storia Ecclesiastica:

“Essendo Papa Urbano accampato vicino Salerno, i Francesi della sua scorta pensarono, se avessero di darlo in potere di Clemente” (l'antipapa) “da essi riconosciuto Papa. Stimavano di averne a ritrarne una gran somma di denaro; e vendevano che Urbano non era in caso di pagar loro quanto promessogli.
Ma Raimondo di Bauce, che comandava tutta l'armata, li rassicurò, e li ritenne cogl'Italiani e gli Alemanni fedeli ad Urbano, il quale trovò mezzo di pagare in contanti 11.000 fiorini d'oro; e diede sicurezza per altri 26.000...
Frattanto essendo arrivate le galee, che gli avevano promesso i Genovesi, egli s'imbarcò e giunse in Sicilia, dove era riconosciuto”.

Scrive Amedeo La Greca a proposito dell'approdo delle navi genovesi:
“...Forse per non aver visto questo porto di persona, Teodorico chiama la località in tre modi diversi, ma facendo sempre riferimento a un fiume: castro fluviarii, portum fluminarium, loco fluminario. Se qui si tratta del porto sul Sele descritto anche da Idrisi, capace di accogliere navi da guerra, come le galee genovesi, il termine castrum potrebbe essere riferito alle strutture di Mercatellum, se ancora esistenti, oppure potrebbe essere un generico riferimento a Paestum, nonostante la distanza”.




Fin qui la narrazione dei fatti di Fernando La Greca, il quale però cade in errore nell'ipotizzare che la sede del “castrum” in cui Papa Urbano VI trova momentaneo rifugio possa essere anche Paestum.

Come sappiamo la città antica con le sue mura diroccate e il loro perimetro molto ampio non potevano essere luogo in cui asserragliarsi e tentare un'efficace difesa.

Diversamente da quando ritenuto da La Greca, probabilmente perché cosa a lui ignota, proprio nelle vicinanze del porto fluviale di Mercatello, situato presso l'odierna Ponte Barizzo, vi era presente un'imponente fortificazione.

Di questa fortificazione solo le vestigia del mastio, nel suo rifacimento cinquecentesco, restano ancor oggi visibili nell'architettura della villa di scuola vanvitelliana dei Principi Doria d'Angri con le sue mura perimetrali inclinate e spesse 2.2 metri e la cisterna centrale alimentata da una fonte d'acqua.
Fortezza che ben si presta ad essere individuata quale il “castrum” della narrazione di Teodorico Di Niem.

Che Papa Urbano VI sia effettivamente partito dall'antico porto fluviale di Mercatello sul Sele, come la narrazione di Teodorico di Niem farebbe supporre o da un porto pugliese come altri autori sembrano indicare, resta comunque il fascino di un'ipotesi, per nulla irrealistica, che valorizza un periodo della storia della nostra Capaccio Paestum poco conosciuto, adombrato com'è dalle vestigia della greca-romana Posidonia/Paestum, ma che non le è affatto inferiore.