venerdì 10 novembre 2017

PAESTUM 1844: L'ESTASI ED IL TORMENTO.



Jean-Charles GESLIN (1814 - 1885), Les Temples de Paestum



Così, per penetrare nei misteri dell'arte antica, si recò a Pompei, dove vi rimase per nove mesi e si  spinse persino a Paestum, dove ebbe l'audacia di lavorarvi per diciassette giorni di fila.  Nelle sue opere vi riversò una tenacia appassionata.
Paestum, infatti, era uno delle località più ricche della Lucania ed uno dei centri più brillanti della civiltà romana; ci sono ancora magnifiche rovine; ma a causa delle infiltrazioni del mare, queste pianure già fertili sono solo una grande palude, dove la febbre continua a regnare. I viaggiatori raramente vi si avventurano, e il soggiorno dei più coraggiosi non è che di poche ore.
Ne consegue che nel 1844 queste rovine erano poco conosciute.
Geslin, sedotto dalla loro maestosa bellezza, decise di realizzare un certo numero di vedute.

Su indicazione di una guida, si recò a Capaccio, un borgo a pochi chilometri da Paestum e chiese ospitalità ad un convento. I monaci, dopo molta esitazione (l'avevano scambiato per un inglese e quindi creduto eretico) infine lo accolsero, ma fecero tutto il possibile per farlo desistere dalla sua impresa. Il nostro amico ci raccontava che spesso usciva dal convento alle prime ore del giorno per scendere fino alle rovine; egli paragonava la contrada ad un pozzo pestilente, dopo aver raggiunto un certo punto sulla costa, si sentiva preso da un mal di testa violento ed un torpore invincibile dal quale non poteva scuotersi senza l'aiuto di giovinetti del paese che appositamente pagava per impedirgli di dormire; perché a Paestum “la siesta” è mortale.

Jean-Charles GESLIN (1814 - 1885), Il Tempio di Nettuno.


Quando ritornava la sera al convento, il malessere lo lasciava alla stessa altitudine, per così dire, dove la mattina lo prendeva.
Egli però è stato ricompensato: ha scoperto un resto di pittura antica, ancora inedito, che è apparso nella rivista artistica di MM. il Barone Witte e di Francois Lenormand, e riportò una serie di disegni e schizzi notevoli, alcuni dei quali poi diventarono soggetti per dipinti, uno dei quali, tra gli altri, di grandi dimensioni che nel 1856 aveva dato al prefetto della Senna da vendere a beneficio delle vittime delle inondazioni della Loira, raffigurante l'insieme dei Templi di Paestum. Non sappiamo dove è oggi questo dipinto; un altro, il grande Tempio di Nettuno, è stato acquisito da M. Millescamps e abbiamo ancora alcuni schizzi di questi monumenti, che stanno per essere completati.

Ma tali spropositi nel lavoro sono sempre pagati, soprattutto quando avvengono in condizioni igieniche così deplorevoli. Tornando a Pompei, Geslin è preso da febbri malariche: per due mesi lo si crede perduto; appena la sua convalescenza cominciò, il dottore lo costrinse a tornare in Francia. Ma durante i tre anni seguenti fu soggetto a delle forti febbri da mettere a volte in pericolo la sua vita.

Più tardi quelle ore di crudele sofferenza non contarono più nulla, potendo assaporare la ricca raccolta di acquarelli e di studi pittorici che aveva portato dalle principali città d'Italia ma soprattutto alla luce dalla maestria che aveva acquisito nella sua arte.

Achille Vianelli, Convento S. Antonio di Capaccio, 1843.



Tratto da "Notice biographique de Jean-Charles Geslin, architecte, peintre et archéologue, ancien inspecteur du Musée du Louvre au département des Antiques " di  Emile Clairin, Vitry-le-François, Typographie Pessez e C., 1887.

La traduzione è mia, quindi mi si scusi per la sua approssimazione. Il mio francese è pessimo.

Una considerazione sull'acquarello del Geslin.
E' straordinario in quanto narra in pochi tratti di pennello la storia della sua permanenza a Paestum.
I templi appaiono magnifici e bellissimi, lo scenario apparentemente bucolico, ma vi s'intravede l'artista disteso sotto un ombrello. E' svenuto. Accanto uno dei fanciulli che aveva assoldato affinché non cadesse nel "sonno mortale". Ma vi sono anche due frati. Sembrano preoccupati ed agitati. Forse gli stessi frati del Convento di Capaccio, quello francescano di S. Antonio, che avevano cercato di dissuaderlo dal trattenersi nella Piana malarica.
La dedica è emblematica: "Petit témoignage d'une grande amitié", una piccola testimonianza di una grande amicizia.

giovedì 2 novembre 2017

HANS CHRISTIAN ANDERSEN E LA CIECA DI PAESTUM: IL BRUTTO ANATROCCOLO CHE DIVENNE UN BELLISSIMO CIGNO.



H. C. Andersen: “To af Templerne i Pestum.” Sted Paestum, Italien, Datering 4 marts 1834. 

Tutti conosciamo Andersen per le sue favole, a pochi è noto che fu un prolifico scrittore che scrisse anche non pochi romanzi. Tra questi quello che gli diede la notorietà internazionale è “L’improvvisatore” (Improvisatoren) del 1835. Opera interessante perché Paestum ha un ruolo fondamentale nello sviluppo della trama.

E’ il tipico romanzo romantico dove lo scrittore traspone se stesso e la propria vita nel protagonista e negli eventi che narra.

“ Andersen riscrive la sua vicenda personale di figlio emarginato di un calzolaio amante della poesia e del teatro e di una illetterata quanto angelica mamma lavandaia. Brutto, troppo alto, goffo, ambiguo nelle sue pulsioni sessuali, tardivo negli studi, sospetto di dislessia e stupidità, ma intimamente certo della sua stella luminosa grazie alla profezia di una maga. Lo seguiamo fuggire dal paesello di pescatori alla capitale Copenaghen, protetto per casi fortuiti da re in persona e importanti personalità della cultura danese, sempre segnato dalla consapevolezza della propria diversità, ma deciso a spiegare le ali di cigno liberandosi dell’infanzia da anatroccolo. Questa “fiaba della sua vita” Andersen la proietta in Antonio, un giovane orfano romano cresciuto in stamberghe nei pressi di Piazza Barberini. Scrive a un’amica di essersi “fatto” romano nella “novella” appena iniziata. A differenza di Goethe che scende a Sud per possederlo (“Roma è mia”), Andersen si fa possedere non solo dal genius loci ma anche dai personaggi incontrati nel suo viaggiare” (1)


Insomma è la storia della trasformazione del brutto anatroccolo in cigno, cioè del

“ giovane talento illetterato e ambizioso, Antonio, che dopo essere stato adottato da un “Sua Eccellenza” della famiglia Borghese (colpevole di omicidio colposo, si direbbe oggi, investe sua madre sotto le ruote della sua carrozza), non senza un certo sussiego viene introdotto alla cultura e alla società. Il giovane fugge di nascosto e il suo viaggio a Sud non è dalla Germania all’Italia, bensì da Roma a Napoli, traendo ispirazione da altri personaggi che rifrangono parti dell’Andersen adulto mescolate con tratti di Thorvaldsen e di altri artisti romani. La sua “nascita a sud” avviene a Napoli, quando decide di calcare le scene del San Carlo e di entrare nei salotti-bene come “improvvisatore” . (2)

L’opera nasce spontaneamente e tumultuosamente durante il suo viaggio in Italia tra il 1833 ed il 1834 e viene conclusa l’anno successivo al suo ritorno in patria. Viaggio che portò Andersen a Firenze, Roma, Napoli, Capri, Milano e Venezia, Paestum e dove l’autore conobbe briganti e mendicanti, vide il carnevale romano, avvicinò pittori e scultori nordici e tedeschi, visitò le catacombe, ascoltò le serenate notturne, rimanendo profondamente affascinato dall’arte e dalla natura italiane.

Ed è uno di questi “incontri” inaspettati che avverrà a Paestum durante la sua visita dei Templi che gli ispirerà uno dei personaggi principali del suo romanzo.

“Più tardi ho visitato Pompei, Ercolano e il tempio greco a Paestum. Lì vidi una povera ragazzina in stracci, però un'immagine di bellezza, una statua viva, ma ancora una bambina. Aveva delle violette blu nei suoi capelli neri, erano tutto il suo ornamento. Mi ha fatto impressione come se fosse uno spirito del mondo della Bellezza. Non riuscì a darle del denaro, ma si levò in piedi con rispetto e la guardai come se fosse la divinità che appariva dal tempio sui cui gradini era seduta tra i fichi selvatici.” (3)
Nel romanzo la piccola mendicante, Lara, è invece cieca ed Andersen realizza la sua fantasia baciandola. Sei anni più tardi il suo avatar letterario, Antonio, la rincontrerà, guarita dalla cecità per arti magiche nella Buca delle Streghe a Capri. Se ne innamorerà e la sposerà.



NOTE: 1 - Camilla Miglio dal Il Manifesto 2 - Ibidem 3 - Dall’Autobiografia, passo citato in “ The Kiss of the Snow Queen: Hans Christian Andersen and Man's Redemption
by woman, Wolfgang Lederer, pag. 153, University of California Press, 1986. (Mia traduzione dall’inglese).