Edmund Hottenroth, View
of the temples of Paestum in the evening light - Water buffalo in the
Campagna, 1854
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La Piana agli occhi dei suoi
primi abitanti si presentava ricca
di corsi d'acqua, di lagune ed acque stagnanti, dove i paleo
cordoni-litorali e le retrostanti superfici terrazzate dei dossi
travertinosi di Gaudio, Seliano e Paestum offrivano suoli ben drenati
su cui i primitivi abitanti svilupparono i loro insediamenti (l'area
della città antica di Paestum tra la Basilica ed il Tempio di
Nettuno, quella presso Porta Aurea, la Necropoli del Gaudo, la
paleoduna di Capaccio Scalo, ecc.). Non mancavano boschi che dalla
collina discendevano sulla Piana ricoprendola quasi per intero.
E' in età greco- romana che si hanno le prime vere e proprie opere di bonifica della Piana. con un'ampia opera di canalizzazione, di
irrigazione e bonifica, che interessava gran parte della zona
pianeggiante estesa a settentrione del perimetro urbano di Paestum e
che aveva i suoi limiti nel fiume Sele a nord, nelle colline di Capaccio
ad est ed il mare ad ovest . La scoperta di lapilli dell'eruzione del
Vesuvio del 79 d. C. in alcuni di questi canali ha fatto ipotizzare
gli storici che già in quell'epoca tale sistema dovesse essere ormai
in crisi, cosa che dovette contribuire ad un nuovo progressivo impaludamento dell'area.
E' però nel medioevo a partire dalla conquista longobarda che inizia una nuova fase di ripresa.
L'attivismo
dei nobili e funzionari longobardi, dei monaci basiliani e
benedettini imprime una ripresa sia dello sfruttamento economico
della piana che degli insediamenti abitativi. Le terre incolte
vengono rimesse a cultura, grazie ad opere di drenaggio dei terreni e
di canalizzazione dei piccoli corsi d'acqua. Opere idrauliche di cui
sopravvive solo il cosiddetto acquedotto medioevale che alimentava le
macine delle due Moline di Mare. Sorgono numerosi villaggi e
casali come Gromola, San Basilio, Santa Barbara, Spinazzo, Capodifiume,
Silifone e Mercatello.
L'irrompere
nel territorio verso la fine del secolo della guerra "del
Vespro" (1282-1302), che vide proprio nella parte meridionale
della provincia di Salerno svolgersi per 13 anni continui le fasi più
aspre, lunghe e determinanti dello scontro terrestre fra Angioini ed
Aragonesi, produsse la sistematica distruzione dei villaggi, delle
colture, del patrimonio zootecnico ed un pauroso calo demografico a
cui seguì un'inevitabile nuovo impaludamento della Piana di Paestum
e l'inizio della decadenza ed abbandono di Caputaquis verso
l'insediamento detto “li casali di Rodiliano di S.Pietro”,
che in seguito prenderà il nome di Capaccio Nuova.
Rizzi
Zenoni, No. 19. Eboli, Capaccio, Campagna, Sele fiume. Gius. Guerra
inc. Nap. 1809. Atlante geografico del regno di Napoli 1808.
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La Piana comunque non fu mai abbandonata e continuò ad essere abitata (anche solo stagionalmente) ed essere centro di interessi economici e sociali.
E' nella prima metà del settecento che iniziano nuove importanti opere di bonifica.
“...Nel 1749 ed in 1750 a spese dell'Università, essendosi formato un alveo di larghezza di palmi 10 e di lunghezza un miglio, per fare in esso imboccare l'abbondante sorgiva dell'acqua della Salza, e deporla nel fiume di Capodifiume, per cui si resero asciutti circa tremila tomola di territorio, che prima erano impraticabili, denominati le Marene, Cardogna, Tufarella, Elice e tutto il recinto di Fiumarello...”. (memoria legale del 1771 di Gennero Mangone “Per l'Università e Cittadini della Città di Capaccio contro l'Illustre Principe di Angri”)
Nel 1818 viene proposto un progetto, che più di una mera bonifica, è piuttosto una vera e propria proposta di riforma e riassetto del territorio. La proposta è quella dei proprietari borghesi consorziati, coordinati da Andrea Dini di Giffoni, che è presentata al Ministro degli Interni purtroppo senza successo.
I lavori di bonifica nel dopoguerra. |
Il
progetto, straordinariamente moderno nella sua concezione prevedeva
anche un vasto piano riorganizzazione e pianificazione del
territorio.
Questo
una volta bonificato doveva essere appoderato ed organizzato in nodi
funzionali costituiti da centri di servizio articolati su due livelli
di importanza diversa: alcuni dotati di un centro religioso, osteria,
negozi, botteghe artigiane, ed altri costituenti dei veri e propri
nuclei di servizi collettivi come la parrocchia, la farmacia e la
rappresentanza municipale e giudiziaria.
Nel
1831 Carlo Afan
de Rivera,
direttore
generale del Corpo
di Ponti e Strade, Acque, Foreste e Caccia del Regno delle Due
Sicilie,
ebbe approvato un piano di bonifica, che fu il primo progetto
organico di riassetto della Piana del Sele, che riprendeva idealmente
le indicazioni di quello del Dini, affrontando saggiamente per primo
il problema della bonifica e le opere necessarie per realizzarla.
I
principi di “sistemazione” del territorio e di riassetto del
regime idrico previsti nel progetto del de Rivera sono stati
d'ispirazione di tutte le successive operazioni di bonifica fino al
progetto redatto dal Consorzio di bonifica di Capaccio tra il
1926 ed il 1930.
Nel
1855 è istituita l'Amministrazione delle Bonifiche di Paestum.
Tra
il 1856 ed il 1866 sono realizzati due canali paralleli alla costa,
che confluendo nel Fiumarello-Lupata presso Paestum,
prosciugarono le aree del Sele Morto e Laura pari a
1399 ha.
Dal
1864 l'autorità preposta alla gestione delle attività di bonifica è
il Consiglio Generale di bonificazione ed Irrigazione, sezione del
Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici.
E'
solo però che nel 1880, che a seguito dell'Unità d'Italia, che
riprendono i lavori nella Piana di Capaccio con la realizzazione del
primo canale di derivazione del Sele lungo 3500 metri e dei derivanti
di colmata Sele Morto e Quistione. Le opere avrebbero
dovuto realizzare la colmata di circa 2500 ha tramite i deposito
delle torbe, ma il sistema si rivelò poco efficace perché in 60
anni si riuscirono a bonificare solo 500 ha. Inoltre si completarono
anche i canali di scolo Pantanelli, Compagnone e Laura,
mentre il Capodifiume fu dotato di argini come nel
progetto dell'Afan de Rivera, risolvendo
lo storico problema delle esondazioni di questo fiume nelle zone di
Paestum, Spinazzo e Linora.
Pianta
della pianura del bacino del Sele in bonificamento. Dall’Archivio
di Stato di Salerno
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Il Piano Generale di Bonifica del 1914 ripropose il sistema della colmata per rialzare altri 2000 ha di terre depresse, ma anche in questo caso si rivelò troppo lento ed inefficace, anche a causa delle difficoltà congiunturale dovute alla contestuale guerra mondiale.
E'
solo con la bonifica integrale del ventennio fascista che si ebbero
consistenti investimenti nella Piana di Paestum.
L'inefficacia
delle esperienze passata convinse la Società Anonima Bonifiche,
costituita nel 1923 ad integrare il sistema della
colmata naturale al sollevamento meccanico delle acque, avviandosi
così alla bonifica integrale della piana.
L'istituzione
del Consorzio di Bonifica Sinistra Sele avvenne
per mano di numerosi proprietari fondiari presenti nei comuni di
Capaccio, Agropoli, Albanella, Altavilla e Serre ed ebbe iniziale
sede proprio a Paestum, poi presso l'attuale storica sede alla scalo
di Capaccio.
Il
Consorzio di Bonifica dei proprietari agrari locali subentrato quindi
al vecchio concessionario (la Farina Valsecchi) per tutte le
opere di bonifica, credette opportuno di avvalersi dell'opera di un'
impresa già convenientemente organizzata. La scelta cadde sulla
ditta Pasqualin e Vienna, con la quale stipulò, in data
29 giugno, un compromesso, con cui l'impresa si impegnava a
provvedere alla compilazione di tutti i progetti occorrenti
all'esecuzione dei lavori.
Acquedotto
Rurale di Castrullo in costruzione.
(Fonte: Archivio Università
degli studi Roma Tre)
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L'ente
presentò un proprio progetto di massima firma di Albino Pasini,
dell'importo di lire 63.588.186,00. Il progetto prevedeva interventi
divisi per acque basse, medie ed alte. Quest'ultime provenienti dai
versanti collinari vennero convogliate nei canali medi. La
regimazione dei corsi d'acqua Pisciolo, Fosso della Cisterna,
Pazzano, Acqua di Ranci, Ciorlito, Capaccio Vecchio,
contribuirono ad un più razionale sfruttamento della risorsa acqua.
Accantonato
il sistema della colmata si decise di passare di avviare il
prosciugamento mediante il sollevamento meccanico (acque basse),
affidando il drenaggio per gravità lo scolo delle sole “acque
medie”. Per riuscirvi fu realizzato presso la Torre Kernot
l'impianto “Idrovora”, capace di pompare 10,000 l/sec. servendo
circa 1.600 ha di terreni produttivi.
Le
“acque medie” ed una piccola parte di quelle “basse” furono
convogliate alla foce Lupata (Fiumarello).
In
sintesi le opere realizzate secondo il Piano del Consorzio di
Bonifica di Paestum ammontarono a circa 22 km di collettori affluenti
all'idrovora per le acque basse, e di altrettanti collettori di scolo
per gravità, in opere di bonifica idraulica dei torrenti naturali
per circa 8 Km, un acquedotto rurale per l'irrigazione (iniziato nel
1932), la rete stradale e l'elettrificazione della Piana, un mercato
ortofrutticolo nei pressi del centro servizi di Capaccio Scalo.
Bonifica
idraulica: canale delle acque medie. Consorzio di Bonifica di
Paestum.
(Fonte: Archivio Università degli Studi Roma Tre).
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Nel
1932 iniziarono le opere per l'irrigazione della Piana realizzando
l'acquedotto rurale della sorgente Castrullo, nel comune di
Campagna, capace di irrigare 20.000 ettari di terreno, servendo i
fabbisogni di 1.500 aziende attraverso 250 km di condotti. La rete di
distribuzione fu realizzata con canalette prefabbricate pensili alte
circa 1 metro, ancora parzialmente esistente, ma in larga parte
manomessa, costituisce ancor oggi una parte caratterizzante del
paesaggio della piana, specie lungo i campi e le stradine
interpoderali, facendo da cornice alle coltivazioni e ai poderi.
E' con la legge n.841 del 21 novembre 1950 che anche nella Piana del Sele con un intervento pubblico di espropri e sdemanializzazioni, si apre la grande stagione della Riforma Agraria. Ad esserne interessati furono 8.948 ha, di cui però solo 7.274 ha furono suddivisi in 1.002 poderi e 713 quote, comprendenti i territori dei Comuni di Albanella, Altavilla, Serre, Eboli e Pontecagnano.
Ente
protagonista della riforma fondiaria fu l'Opera Nazionale Combattenti
(ONC).
Più
precisamente nella Piana di Capaccio Paestum furono realizzati 308
poderi per una superficie complessiva di ha 1741.25.00 e 126
quote per una superficie complessiva di ha 186.10.00.
Poderi della Riforma in costruzione. |
I
primi tentativi dell'ONC di indirizzamento della conduzione dei fondi
della riforma furono verso un ordinamento cerealicolo-industriale
biennale. In seguitò si optò verso quello
zootecnico-industriale-cerealicolo. In tal senso si incentivò la
coltivazione delle foraggere poliannuali, ritenute una scelta
strategica nel nuovo ordinamento zootecnico-industriale, superando
così di fatto i limiti della passata economia agraria.
Contestualmente
l'ente promosse l'innovazione dei mezzi di produzione con
l'introduzione delle lavorazioni meccaniche, ma anche la diffusione
delle moderne tecniche di concimazione e dei trattamenti
antiparassitari.
Fu
dato impulso allo sviluppo di una moderna zootecnia con
l'introduzione di 2,000 capi bovini, 400 suini ed oltre 10,000
riproduttori avicoli.
Il
Prodotto Lordo Vendibile (PLV) relativo ai terreni della riforma nel
giro di dieci anni si quadruplicò passando dagli 885 milioni di lire
del 1953 ai 4.226 milioni del 1962, più precisamente il PLV ad
ettaro passò da 154.000 lire a 584.000 lire con un incremento del
370%.
Nel
periodo 1950-1960 l'incremento degli allevamenti fu del 50%, il
bovino passò da 8.430 capi a 16.540, mentre quello bufalino restò
stazionario e si avviò a forme di stabulazione fissa.
Piazza Santini e la Chiesa di San Vito in costruzione. |
La
meccanizzazione nell'area della riforma ebbe un incremento del 370%,
mentre nelle altre zone della provincia di Salerno si fermò al 210%.
Con
la Riforma si diede anche seguito in chiave contemporanea a quel
progetto di
riorganizzazione e pianificazione del territorio
immaginato dall'abate Andrea Dini nel secolo precedente:
cioè la riorganizzazione del territorio attraverso una maglia di
poderi e quote, serviti da una serie di infrastrutture quali ad
esempio strade e opere per l'irrigazione, a cui s'aggiungono dei veri
propri centri di servizio, cioè i borghi della riforma, nuclei
iniziali di una nuova vita comunitaria, sociale, economica e
politica.
Altre iniziative furono volte oltre che a dotare dei necessari servizi le nuove comunità anche a formare le prime basi di una nuova convivenza ed aggregazione sociale nelle comunità che nascevano nei vari borghi della riforma: gite d'istruzione anche fuori regione, proiezioni cinematografiche di carattere tecnico, l'apertura nelle borgate di ambulatori medici, biblioteche, circoli sociali, campi sportivi, chiese con annessi locali d'incontro, ecc.
Cartolina del borgo della riforma di Gromola. |
Altro
aspetto saliente fu la costituzione di una rete organica di
cooperative sul territorio.
Funzione
primarie di tali cooperative era la fornitura di crediti e di servizi
a prezzi più convenienti di quelli ordinari sul mercato, ma anche di
collocamento delle produzioni in forma collettiva strappando prezzi
più remunerativi e soprattutto evitando intermediari e
concessionari.
Nello
specifico a Capaccio furono costituite le Cooperative “Argiva”,
“S. Giorgio” ed “Italia”, che raccolsero quasi duemila soci.
Si
realizzò anche un livello associativo di grado superiore che
riunisse ed organizzasse le singole cooperative in un consorzio o in
cooperative specializzate come quelle nel settore lattiero-caseario,
che organizzavano un servizio di raccolta, refrigerazione e
collocamento presso le industrie casearie.
Esempio
di consorzio che raccoglieva le singole realtà cooperative fu la
Concooper (Sele d'Oro).
La
bonifica e la Riforma Agraria furono gli strumenti di una
“riorganizzazione razionale” del territorio della Piana di
Capaccio Paestum, che produsse inevitabile ricadute positive sugli
assetti economici e sociali della comunità locale. Tale assetto però
fu susseguentemente manomesso da uno sviluppo economico, sociale e
culturale del tutto confuso e non lungimirante. Un solipsismo
individualistico ebbe la meglio sulle forme associative e di
cooperazione promosse dall'ente di riforma determinandone il
fallimento, ma anche sull'impianto stesso dell'organizzazione del
territorio.
Uno
sviluppo edilizio non organico e funzionale alle potenzialità del
territorio, spesso culminante in un abusivismo diffuso, determinarono
un guasto generalizzato del territorio, che compromise anche lo
sviluppo del settore agricolo con la parcellizzazione dei poderi e
delle quote. La fine dell'impianto della Riforma fu anche la fine di una dimensione etica e culturale dello sviluppo del territorio e della sua comunità.