lunedì 8 ottobre 2012

NUOVA PAESTUM O PAESTUM NUOVA?

Giuseppe Liuccio
A mio modesto parere, l'idea di dare un ruolo più dignitoso a Capaccio Scalo, anche con una nuova toponomastica, non è balzana, ma, invece, coglie e registra una esigenza vera. E bene ha fatto il sindaco, Italo Voza, a porre il problema, sollecitando un dibattito tra le forze politiche, imprenditoriali, intellettuali e tutta la più vasta società civile. Corre, però, l'obbligo, di chiarire fin da subito che non è solo un problema di toponomastica, che se mai viene dopo, solo dopo, un lungo percorso che è di cultura, di storia, di riassetto territoriale, attraverso un restyling , ma non solo, per bonificare l'esistente e ridisegnare  la popolosa contrada, ipotizzandone ruolo e funzioni per lo sviluppo futuro dell'intero territorio.Entro anch'io nel tema, non da tecnico, ma da osservatore attento e con occhio d'amore, con la speranza di dare un contributo. E parto da una premessa necessaria, sottolineando concetti noti ai più, soprattutto agli addetti ai lavori.

La città, ed ogni centro urbano lo è nell'accezione più ampia ampia del nome, ubbidisce, o dovrebbe ubbidire,ad una logica di organizzazione fisica (l'assetto urbanistico) e di funzioni (istituzioni,servizi sociali, culturali, ricreativi e ludici, religiosi,ecc.) con una perfetta sinergia tra spazi privati e pubblici adeguatamente attrezzati, soprattutto questi ultimi. Per Capaccio Scalo così non è. Si tratta di una contrada cresciuta a dismisura negli ultimi decenni con una visione miope dello sviluppo urbano, che ha privilegiato l'edilizia per civili abitazioni , a scapito, spesso o quasi sempre, di quella pubblica, a servizio delle esigenze sociali dell'intera collettività.  Ne è venuta fuori una conurbazione con agglomerazioni a schiera e supersfruttamento del suolo edificabile ed edificato lungo la statale 18, prima e dopo la rotatoria centrale, e lungo la via del mare verso la Laura, dando l'impressione  a chi vi capita per la prima volta di essere arrivato più in un quartiere periferico di Napoli (Secondigliano, Casoria,in parte anche Scampia ecc) che nel cuore o quasi di uno dei più straordinari siti dell'archeologia di caratura mondiale, patrimonio dell'Unesco, tra l'altro. Totale assenza, o quasi, di un minimo di infrastrutturazione di servizi culturali. Per fortuna l'imprenditoria privata ha fatto la sua parte e sono nati bar confortevoli, dove è possibile dare appuntamento agli amici per un caffè o per uno scambio di idee. Diversamente ci sarebbe solo la strada, il cui traffico intenso a qualsiasi ora del giorno e, da un pò di tempo a questa parte, anche della notte, non consente neppure una passeggiata in tranquillità. Certo più giù c'è Piazza Santini, ma è fredda, poco accogliente, quasi invivibile (necessita di una riflessione a parte che farò presto).

Per il resto lo sviluppo urbanistico dell'intera contrada, compreso anche il vicino Rettifilo) ubbidisce  ad una logica  più di cittadini migranti che di stanziali. Le case sono a margine di strada, quasi come per una via di fuga.improvvisa  E' la vecchia logica della ruralità:la casa a distanza ravvicinata della proprietà contadina per raggiungere con estrema facilità il luogo di lavoro. 

Il tema è stimolante e merita analisi attente e rigorose con l'occhio attento alla sociologia politica ed ancorandosi alla storia antica e moderna della contrada e dell'intero territorio per ridisegnarne io futuro. E certamente anche la toponomastica può e, secondo me, deve aiutare. Mi sia consentito consigliare al sindaco(ammesso che gli faccia piacere leggere i miei consigli) di dotarsi di una Commissione Toponomastica all'altezza del compito o quanto meno di un consulente minimamente credibile, perchè si accinge a mettere mano alla storia, passata, presente e futuro di Paestum. Il che non può e non deve consentire peccati/colpe e sfregi alla cultura e alla bellezza. Il mondo ci guarda e ci giudica.Io ritornerò sul tema.Per intanto vorrei pregare  gli amici del gruppo di animare un dibattito, mettendo da parte battute ed ironia, ma sforzandoci di affrontare il dialogo con la serietà e la sobrietà che  l'argomento impone.

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