domenica 14 settembre 2025

CAPACCIO, MALACCIO, MALAGENTE


Capaccio Vecchia 



Secondo una leggenda della tradizione capaccese, un vescovo avrebbe maledetto i Capaccesi, per la loro insofferenza nei confronti suoi e dei suoi predecessori. Secondo una vulgata a farlo sarebbe stato il vescovo che avrebbe trasferito la sede della diocesi a Vallo della Lucania nel 1851 (in realtà fu una scelta fatta dal pontefice del tempo, cioè Pio IX, formalizzata con la  bolla Cum propter iustitiae dilectionem). 

In verità la sede di Capaccio era disagevole avendo la sua cattedrale non nel nuovo centro urbano di Capaccio Nuova, ma nella Vecchia Capaccio, cioè Caputaquis. Dice il Bamonte nelle suo "Le antichità pestane", che i capaccesi non ebbero l'accortezza dei loro antenati pestani che con la fine dell' antica città di Pesto, nel fondarne una nuova, Capaccio Vecchia, portarono  con loro anche la cattedrale. Così già precedentemente alcuni vescovi avevano spostato la loro sede nel Vallo di Diano, Sala Consilina, ma anche a Pisciotta e poi a Novi Velia, prima dell' attuale sede in Vallo della Lucania.

Da premettere che nella seconda metà del cinquecento, epoca dei fatti di cui vogliamo parlare, Capaccio Vecchia era ormai abitata da pochissime famiglie, essendosi i suoi originari abitanti trasferiti in massa nei paesi e casali vicini, primo fra tutti la vicina Rodigliano, detta anche Casali di San Pietro, che i suoi abitanti già da un secolo chiamavano ormai Capaccio Nuova. Nella vecchia città deserta restavano il castello, di proprietà regia, con un suo castellano e i suoi armati e la Cattedrale, cioè la Chiesa Santa Maria Maggiore, oggi detta del "Granato".

Probabilmente se vi fu un "vescovo" che dovette avercela in modo particolare con i capaccesi, dovette essere un vicario apostolico, in questo caso una sorta di vescovo facente funzioni, Orazio Fusco, essendo il vescovo in carica, Lorenzo Belo, impedito nella sua missione per una grave malattia debilitante.


Scrive il Volpi nella sua "Cronologia de' Vescovi Pestani..":

"Venne Orazio nello stess'anno 1580, e ficuramente potea egli dire, ciocchè disse Demade di Atene sua patria, quando tra le anguftie di essa n'ebbe il governo; cioè, che gli conveniva governare naufragia Reipublicae; imperocchè trovò la Diocesi naufraga in un mare di disordini.

Incominciò egli in tanto la sua carica dalla vifita della Cattedrale, ch'era mezza diruta: e come per l'ordinario quei, che novellamente vengono negli ufizj, amici effer fogliono di cose nuove, così il novello Vicario, per difio forsi di gloria, o per emulare la con dotta di qualunque zelante Vescovo, pretese d'introdurre in detta Cattedrale la residenza del Collegio Capitolare, perlocchè fatto citare tutti i Canonici, pose loro la pena di essere di quella dignità spogliati, qualora in essa non dimorassero; ma avutone quelli ricorso nella Sacra Congregazione, ottennero decretazione, di non poter essere a tal'obbligo aftretti, pria che con buon numero di famiglie fi fosse incominciata ad abitare la Città.

Ma ciò non fu bastante a distogliere Orazio dal suo penfiere; anzi accendendofi maggiormente in effo, ne passo in altro di molta maggior difficoltà; poichè per ottener l'intento della refidenza, trattò di promuovere per tutte le vie la riedificazion di Capaccio, con farvi trasferire alcune famiglie dal vicino Capaccio nuovo, alla di cui Comunità propostasi la faccenda in pubblico parlamento, tenuto a' 29 di Maggio, fu in esso conchiuso, che avrebbono senza difficoltà trasportata alcuni la loro abitazione nella Città, con edificarvi nuove case, se però dal Papa, e dal Re foffero loro conceduti certi privilegj, ed esenzioni, che in un foglio descriffero, per gli quali dissanimato alla fine il Vicario, nè trovando più modo da fare, che la giacente Città risorgesse, ne depo. se in tutto il pensiero, e senz'altro tentare, si diede a proseguire la sua visita."


 

In pratica i Capaccesi fecero tali richieste al Re ed al Vescovo, improbabili ed impossibili nel loro potenziale accoglimento, che il povero Orazio Fusco rinunciò a quel proposito che pur testardamente si era riproposto nel perseguirlo, che dovette amaramente riconoscerne l'impossibilità sopraggiunta e passare oltre.

Non sappiamo quali esattamente fossero le richieste che i cittadini Capaccesi riuniti in "Pubblico Parlamento" abbiano avanzato, come non sappiamo se fossero state fatte per "ingordo" desiderio di avere un importante risultato in cambio del sacrificio di ripopolare l'antica città di Capaccio Vecchia oppure letteralmente e fattivamente vollero "spararla grossa" proprio perché non avevano alcuna reale intenzione di trasferirsi. Comunque sia al Vicario Fusco la cosa non dovette assolutamente piacere, tanto da continuare la sua visita pastorale nella Diocesi senza più voltarsi indietro.


Capaccio Capoluogo, foto di Gabriele Conforti.


SANTA VENERE: l'origine del nome di questa contrada.

 

Il Muratori ci da una interessante notizia, tratta dell'archivio del monastero benedettino di Cava dei Tirreni.

Giovanni III, Vescovo di Capaccio,  nella 1013 concesse ai benedettini di Cava la Chiesa di Santa Preparazione,  detta anche di Santa Venera di Cornito.


Cornito era l'antico nome della località,  che oggi è detta però di Santa Venere, proprio in virtù della santa a cui era dedicata quell'antico santuario. 


Nel nome è sopravvissuta la memoria di un piccolo santuario, che però probabilmente era antecedente all'anno mille, ed era il fulcro di una comunità di monaci "greci", cioè di rito greco, che oggi diremmo ortodossi. 


Intorno ad essa vivevano isolati nelle loro celle, dette "lauree", i monaci. 


Non dobbiamo però pensare che questi religiosi fossero non italici, magari provenienti da lontani territori dell'impero bizantino, perché dobbiamo ricordare che in vasti territori dell'Italia Meridionale  le presenza bizantina si protrasse  per secoli ed accanto ad italici cattolici, ve ne erano altri di rito greco.

Sarà con la conquista normanna e la fattiva azione del monachesimo benedettino che la cattolicizzazione di vaste aree della Lucania e della Calabria diventerà effettiva.


Ma chi è Santa Venera?


Il nome è la latinizzazione di Parasceve, o meglio Agia Paraskevi (greco Αγία Παρασκευή), con il quale è venerata dalla chiesa ortodossa. 

Il nome Parasceva significa letteralmente "preparazione" come il giorno della preparazione per il fine settimana, il Sabbath, cioè "Venerdì".

È quindi una trasposizione del Venerdì Santo, più che un reale personaggio storico.


Per gli ortodossi era una giovane cristiana che subì il martirio sotto gli imperatori romani Antonino Pio e Marco Aurelio. Venne decapitata dal governatore romano Tarasius vicino a Salonicco. 


Per i cattolici sarebbe stata invece la figlia dei cristiani Agatone e Polena, cresciuta nella provincia romana della Gallia. Al tempo di Antonino Pio imperatore, sarebbe stata catturata ed imprigionata dal prefetto Asclepio, quindi torturata e infine decapitata a Roma.

In realtà della sua storicità dubita persino la Chiesa, tant'è che è stata eliminata dal Martiriologio Romano.


La contrada, quindi ,dovrebbe dirsi di Santa Venera, come fu chiamata per secoli, e non Santa Venere, come da metà del secolo scorso è detta per un banale malinteso diffuso.