Un piccolo ricordo di una persona a me sempre cara, una piccola storia nostrana.
Qualche notizia su "La Gueglia", o meglio lo Scalo di Capaccio, prima della nascita del Villaggio, che spiega molto bene perchè ancora oggi la "Sànsola" condiziona problematicamente l'urbe che non c'è.
Qualche notizia su "La Gueglia", o meglio lo Scalo di Capaccio, prima della nascita del Villaggio, che spiega molto bene perchè ancora oggi la "Sànsola" condiziona problematicamente l'urbe che non c'è.
LA "SANSOLA" DI CAPACCIO SCALO
di Vincenzo Rubini*
Carta aragonese di Pesto (BNF, Paris) |
Nella Memorie dell'abate Tanza, alla metà del '600, dei terreni di Vannulo si dice che confinavano, "dalla parte di Salerno", verso Nord Ovest, con una "sànsola" (cioè uno stagno salmastro). Poichè il sito di Vannulo è poco a Sud-Est della stazione ferroviaria di Capaccio-Roccadaspiede, lo stagno citato dal Tanza non può che collocarsi nell'area dell'attuale Capaccio Scalo (1).
Lo stesso Tanza annota che la palude era circondata da un anello di terra sterile, lasciando, così, intendere che in passato era stata più vasta (sulla base della più probabile spiegazione della presenza di un terreno improduttivo lungo una fascia circolare, che corrisponderebbe ai sedimenti tufacei lasciati dalle acque, quando la loro superficie era maggiore).
Mappa tratta da Les Ruines de Paestum ou Posidonia di C.M. Delagardette |
Nel '700 lo specchio d'acqua della sànsola doveva essere scomparso, o quasi: la carta, pur attenta, di Rajola e La Marra, ripresa da P. A Paoli (1784), e quella, da lui stessa rilevata sui luoghi, di C.M Delagardette (1799) non lo riportano (2). Si può presumere che sia stato assorbito dal terreno e che oggi costituisca il tipico strato melmoso con cui devono fare i conti i costruttori di Capaccio Scalo nel gettare le fondazioni degli edifici.
Tavola di P. A. Paoli, Rovine della città di Pesto detta ancora Posidonia (=Paesti quod Posidoniam etiam dixere rudera), Roma 1784. |
Note:
(1) Con questa "Sànsola" potrebbe anche identificarsi la "Sàlsola", di cui si trova notizia in un documento cavense (Codex diplomaticus Cavensis ) dell'agosto 1031. Il passo è il seguente:... de rebus mea quod abeo illa parte flubio Siler, que est infra ec finis: a parte occidentis fine ipso flubio Siler: alia parte fine litore maris: ab orinetis fine mea, sicut discernit lagu paulinu, et qualiter badit per pullu illa parte ipso pullu: a pers orientis et abinde saliente per palude in partibus sebtemtrionis et coniugente in salsola a parte sebtemtrionis, qualiter badit per ipsa salsola et congugit in ipso flubio Siler... (CDC, V, p.207).
(2) Vi compaiono, invece, le paludi intorno alle mura (immediatamente a Nord, in località Arcioni-Gaudo e Andriolo; immediatamente a Sud, il località S.Venere); verso Agropoli, la palude della Paglieta e "l'acqua morta" dello "Zoso", verso il Sele, la palude di "Sele morto"; le varie sorgenti, ecc.
Tuttavia, il silenzio delle carte, per quanto attente esse appaiono, non mi pare basti a far escludere la presenza di paludi nell'area di Capaccio Scalo, che, per tutto il '700, rimase tagliata fuori dagli itinerari dei visitatori e forse anche dagl'interessi dei cartografi. In quei luoghi esistevano stagni infidi e permanenti ancora nei primi decenni del nostro secolo. In particolare sopravvive nella memoria dei più anziani il ricordo di un episodio accaduto nella zona "Fornilli", appunto di Capaccio Scalo, al tempo della prima guerra mondiale e legato ad uno specchio d'acqua melmosa, di quelli che venivano chiamati "triemmuli", temuti ed evitati come sabbie mobili.
Illudendosi di guadagnar tempo, un giovane del luogo decise di attraversarlo, e vi spinse dentro il suo carro carico, tirato da una coppia di buoi; dopo pochi metri le povere bestie non riuscirono più a procedere ed in breve furono ingoiate dal pantano assieme al traino, da cui nessuno osò tentare di staccarle; riuscì invece a salvarsi l'incauto carrettiere.
(tratto da Ritorno a Capaccio, documenti e memorie a cura di Mario Mello, 1998, Edisud Salerno, pag. 22 e 23)
*Vincenzo Rubini (Capaccio, 1898 - 1990) è stato a mio parere il massimo cultore di storia locale capaccese a noi contemporaneo. Purtroppo l'ho conosciuto già anziano. Avrei voluto condividere con lui molto più del mio tempo. Le nostre discussioni erano sempre interessanti e brillanti. Lui da uomo di profonda cultura era un grande comunicatore e divulgatore dei suoi studi, creando nei suoi interlocutori una grande passione per la storia del nostro paese.
Purtroppo, però, pubblicò pochissimo e quando gli chiesi il perchè capì tra le righe che la motivazione era da ricercarsi in una ritrosia tutta sua a non cercare allori o ribalte. Preferiva piuttosto trasmettere questa sua vasta conoscenza acquisita in anni di "studio sulle carte" direttamente alle persone o facendosi, anche, fonte occulta dei lavori di altri, che fossero cultori di storia locale, studiosi professionisti o semplici studenti uniìversitari.
Lasciò la sua ricca raccolta di testi antichi e moderni su Capaccio e Paestum all'Università di Salerno, costituendo però un fondo archivistico dei suoi studi e scritti, aperto a quanti volessero consultarlo, presso la sua abitazione, nello storico Palazzo Di Deo-Rubini. Ma fu anche attento alla conservazione di quel patrimonio culturale che sono i documenti storici che riusciva a raccogliere recuperandoli dall'incuria anche di "ignoranti" possessori e cattivi custodi. Così nel 1975 donò ben 49 pergamene latine di Capaccio sempre alla Badìa di Cava. Collaborò con la Società Salernitana di Storia Patria.
Fù un assiduo frequentatore dell'archivio storico dell'Abazia di Cava de Tirreni, prima che gli acciacchi dell'età gli rendessero difficile la ricerca sul campo, come anche un attento lettore delle "Carte della famiglia Doria" presso l'Archivio di Stato di Napoli. Si interessò soprattutto di quei periodi storici meno conosciuti da noi Capaccesi, cioè il Medioevo e l'età Moderna.
Le sue ricerche erano quindi sempre originali, mutuate dalle informazioni raccolte nello spulciare polverosi documenti d'epoca. Il confronto con quanto pubblicato da altri sempre critico o completativo.Ma il suo più grande contributo è stato quello di aver acceso con la sua passione e la sua cultura l'amore per la storia e la tutela del proprio paese in tanti che l'hanno conosciuto.
Per una bibliografia essenziale di V. Rubini:
Gli antichi canti di Capaccio / raccolti da Vincenzo Rubini, Capaccio - Cassa rurale e artigiana di Capaccio 1983.
La Madonna con la Melagrana nel Santuario di Capaccio Vecchio- Società Salernitana di Storia Patria, Boccia Ed., 1990.
La coppola di don Ciccillo ed altre storie e storielle pestane, (postumo), Grottaminarda, 1996
Ritorno a Capaccio, documenti e memorie a cura di Mario Mello, Edisud, Salerno,1998.
(tratto da Ritorno a Capaccio, documenti e memorie a cura di Mario Mello, 1998, Edisud Salerno, pag. 22 e 23)
*Vincenzo Rubini (Capaccio, 1898 - 1990) è stato a mio parere il massimo cultore di storia locale capaccese a noi contemporaneo. Purtroppo l'ho conosciuto già anziano. Avrei voluto condividere con lui molto più del mio tempo. Le nostre discussioni erano sempre interessanti e brillanti. Lui da uomo di profonda cultura era un grande comunicatore e divulgatore dei suoi studi, creando nei suoi interlocutori una grande passione per la storia del nostro paese.
Purtroppo, però, pubblicò pochissimo e quando gli chiesi il perchè capì tra le righe che la motivazione era da ricercarsi in una ritrosia tutta sua a non cercare allori o ribalte. Preferiva piuttosto trasmettere questa sua vasta conoscenza acquisita in anni di "studio sulle carte" direttamente alle persone o facendosi, anche, fonte occulta dei lavori di altri, che fossero cultori di storia locale, studiosi professionisti o semplici studenti uniìversitari.
Lasciò la sua ricca raccolta di testi antichi e moderni su Capaccio e Paestum all'Università di Salerno, costituendo però un fondo archivistico dei suoi studi e scritti, aperto a quanti volessero consultarlo, presso la sua abitazione, nello storico Palazzo Di Deo-Rubini. Ma fu anche attento alla conservazione di quel patrimonio culturale che sono i documenti storici che riusciva a raccogliere recuperandoli dall'incuria anche di "ignoranti" possessori e cattivi custodi. Così nel 1975 donò ben 49 pergamene latine di Capaccio sempre alla Badìa di Cava. Collaborò con la Società Salernitana di Storia Patria.
Fù un assiduo frequentatore dell'archivio storico dell'Abazia di Cava de Tirreni, prima che gli acciacchi dell'età gli rendessero difficile la ricerca sul campo, come anche un attento lettore delle "Carte della famiglia Doria" presso l'Archivio di Stato di Napoli. Si interessò soprattutto di quei periodi storici meno conosciuti da noi Capaccesi, cioè il Medioevo e l'età Moderna.
Le sue ricerche erano quindi sempre originali, mutuate dalle informazioni raccolte nello spulciare polverosi documenti d'epoca. Il confronto con quanto pubblicato da altri sempre critico o completativo.Ma il suo più grande contributo è stato quello di aver acceso con la sua passione e la sua cultura l'amore per la storia e la tutela del proprio paese in tanti che l'hanno conosciuto.
Per una bibliografia essenziale di V. Rubini:
Gli antichi canti di Capaccio / raccolti da Vincenzo Rubini, Capaccio - Cassa rurale e artigiana di Capaccio 1983.
La Madonna con la Melagrana nel Santuario di Capaccio Vecchio- Società Salernitana di Storia Patria, Boccia Ed., 1990.
La coppola di don Ciccillo ed altre storie e storielle pestane, (postumo), Grottaminarda, 1996
Ritorno a Capaccio, documenti e memorie a cura di Mario Mello, Edisud, Salerno,1998.
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