sabato 3 ottobre 2020

LA CAPACCIO DELL'OTTOCENTO, LE TASSE E LE USURPAZIONI DEL DEMANIO.

 



Sembra che il rapporto dei Capacciopestani con le "tasse" sia stato sempre conflittuale, come quello col demanio pubblico anche nel passato caratterizzato da abusi ed usurpazioni.

Così il Comune di Capaccio in esecuzione di un decreto reale del dicembre 1806 fu invitato a costituire un fondo per supplire ai propri bisogni.

I Decurioni (gli amministratori comunali del tempo) deliberarono quindi una "imposizione territoriale" di grana 4 ad oncia su chiunque possedesse fondi nel territorio comunale: abitante, straniero, luoghi pii, la chiesa parrocchiale e la mensa vescovile. Inevitabilmente molte furono le lamentele rivolte all'Intendente (una sorta di prefetto ed amministratore provinciale del tempo). Tra queste, particolare quella dei procuratori delle diverse chiese e cappelle, in cui si criticava l' "esito" del Comune (il bilancio consuntivo), in particolare alcune voci di spesa.

I procuratori si lamentavano che nelle spese "occasionali", il Comune vi iscrivesse l'acconcio di strade, "che nella Capaccio diruta e deserta" non erano molte (evidentemente quella della viabilità è un problema storico e cronico del nostro paese se ancora oggi ce ne si lamenta) e le spese per "le scorte per i Francesi", che a loro parere non aveva ragion d'essere, tanto da aggiungere: "quanto mai i Francesi hanno bisogno di scorte?"

In realtà le spese vi furono a causa della continua presenza di truppe e del Capo dipartimentale del Cilento che erano mantenuti a spese dell'ente, provocando un indebitamento del Comune per una cifra enorme per l'epoca di ben 5036 ducati.

Il problema si pensò di risolverlo con un fitto trentennale all'ex feudatario di Capaccio, il Principe Doria d'Angri, delle tre "difese" di Laura, Cerza Gallara e Codiglioni.

Ma il principe successivamente venne meno all'accordo realizzando invece con altri una vera e propria annessione di quei fondi nelle proprie proprietà private aprendo così una controversia giudiziaria della durata di ben 37 anni. 

Controversia difficile e stremante per i cittadini e gli amministratori comunali dell'epoca, tanto che il 18 settembre 1861 il sindaco Ernesto Ricci implorava con una sua lettera il commissario demaniale di far presto nel risolvere il caso, che aveva "stremato" la volontà di resistenza dei decurioni, di fronte agli astuti maneggi del Principe d'Angri e degli altri "usurpatori" del pubblico demanio.

La conclusione arrivò solo nell'aprile del1866 con un compromesso tra il Comune e gli "usurpatori", che risultò più vantaggioso per questi ultimi che videro riconosciute parte di quanto avevano acquisito a danno del demanio pubblico. Il resto poté tornare nella piena disponibilità del Comune.

Ma imporre nuove tasse o inasprire quelle esistenti non era cosa facile per gli amministratori comunali, cosa che poteva avere risvolti non piacevoli per costoro.

Cosi l'Intende nel 1811, per fare rispettare la legge ai recalcitranti amministratori comunali capaccesi che non volevano imporre la "gabella" per quell'anno ad una popolazione già provata da diverse congiunture economiche sfavorevoli, mise in casa di ciascun amministratore (con relativo obbligo di vitto ed alloggio a loro carico) due gendarmi fino a che non avessero adempiuto al loro dovere.

Certe cose non cambiano mai, altre invece ci stupiscono.

La "Difesa di Cerzagallara" in una tavola conservata presso l'ASS.



Immagini: piante "geometriche" della Piana di Pesto.

Nessun commento:

Posta un commento