sabato 9 novembre 2019

DA CAPUTAQUIS A CAPACCIO NUOVA.

Con la conquista del Regno di Napoli da parte degli Angioini, le condizioni della città di Caputaquis e del suo territorio rimasero sostanzialmente immutate. Se differentemente dalla narrazione popolare con l'epilogo della "Congiura di Capaccio", la città non fu distrutta, ma nemmeno abbandonata, è anche vero che il nuovo monarca angioino, già subito dopo la battaglia di Benevento, fece ricostruire il castello di Capaccio, che nel 1268 veniva affidato alla custodia del castellano Stefano.

Capaccio Vecchio dall'Atlante di F. Cassiano de Silva.



Nel corso del Duecento la Piana di Paestum era, rispetto alle aree circostanti, ancora un'area privilegiata, sia per il perdurare in esso dell'opera dei Benedettini sia per l'operosa fattività dei suoi abitanti.
Comincia a prendere piede l'allevamento bufalino sin allora marginale, ma sempre minoritario rispetto a quello bovino o suino, anche se la prima menzione documentale della presenza delle bufale nella nostra Piana pare sia quella del 1052, legata ai pagamenti in natura che il monastero basiliano di “Sancta Beneri de locum Cornito” (cioè l’attuale Santa Venere) doveva alla Chiesa di Santa Sofia in Salerno. 

Capaccio Vecchio
(Archivio Agorà dei Liberi)



Capaccio Vecchio da Caputaquis Medievale I


L'irrompere nel territorio verso la fine del secolo della "Guerra del Vespro" (1282-1302), che vide proprio nella parte meridionale della provincia di Salerno svolgersi per 13 anni continui le fasi più aspre, lunghe e determinanti dello scontro terrestre fra Angioini ed Aragonesi, produsse la sistematica distruzione dei villaggi, delle colture, del patrimonio zootecnico ed un pauroso calo demografico, valutabile in circa l'80% della popolazione (1).

Non poteva essere altrimenti dato che proprio la Piana di Paestum ed il vicino Cilento divennero i luoghi dei più aspri e duri confronti tra le truppe angioine, guidate da Ruggiero e Tommaso Sanseverino, e quelle aragonesi. 
La linea del fronte si dispiegava dall'interno alla costa: da Marsico, Sala, Contursi, Eboli, a Capaccio ed Agropoli.
A sud di tale linea, divenuta la nuova frontiera degli Angioini di Napoli, gli Aragonesi insediarono guarnigioni stabili nelle principali località occupate ed affidarono il proseguimento della guerra a truppe scelte di fanteria: i tristemente famosi Almugàveri. 
Così il conflitto si trasformò in guerriglia, condotta soprattutto a danno dei villaggi, dei casali e dei paesi nei pressi della linea del fronte. La quasi totalità dei centri abitati subì rapine e danneggiamenti, molti si spopolarono, alcuni andarono completamente distrutti, saccheggiati ed arsi. Costantemente a caccia di bottino, di viveri e di donne, gli Almugàveri ridussero quei paesi ad una condizione ben peggiore di come l'avevano lasciate i Saraceni alcuni secoli prima.

Il settore più tormentato della frontiera fu però quello occidentale, lungo la costa . 
Da Castellabate gli Almugàveri arroccati nel castello non solo corsero a saccheggiare ed a distruggere molti casali della Badia di Cava e della Baronia del Cilento, ma compirono anche ripetute incursioni fin sotto Agropoli e Capaccio, i cui castelli erano le roccaforti degli Angioini.

Il Castello di Caputaquis
(da Caputaquis Medievale II)

Non deve sorprendere quindi che la città di Caputaquis, costantemente minacciata ed insidiata, si spopolasse e che suoi abitanti cercassero rifugio in altre località più sicure. Difatti la città non aveva una cinta muraria a difesa di tutto l'abitato, che nel corso degli anni di lunga pace era cresciuta con la nascita di un nuovo quartiere popoloso fuori le mura (detto la "Civitas Nova") e che dovette essere il primo a subire gli affronti della guerra. 
Come ad essere travolti dalla guerra furono anche i diversi villaggi e casali che sin allora avevano popolato la piana. Situazione che peggiorò ulteriormente quando nel 1295 il castello di Agropoli cadde momentaneamente nelle mani degli aragonesi, facendo proprio della piana di Paestum il luogo di terrificanti battaglie.
Non a caso Caputaquis (Caput Aquium), ma anche "Ritilianum" (o meglio Ridilianum/Rodigliano, cioè la futura Capaccio Nuova), Carratellum, Trentenaria, Albanella, Altavilla, Silifone e Convingenti sono tra i castra, terre o loca che erano stati esentati dopo la guerra dal pagamento parziale o totale delle Generalis Subventio o da altri tipi di imposte per le distruzioni subite.
La conseguenza, però, più lunga e deleteria di questa guerra fu la malaria, il morbo che a detta di alcuni studiosi sino ad allora era ancora sconosciuto (2), e che, divenne endemico per secoli in modo irreversibile nel territorio, perdurandovi fin quasi ai nostri giorni.

Particolare di una presunta mappa aragonese (XV sec.)


Se le devastazioni della Guerra del Vespro ed il conseguente spopolamento incisero profondamente non solo nella Piana di Paestum, ma anche nel vicino Cilento, tanto che non furono pochi i villaggi e casali scomparsi, l'impaludamento susseguente all'abbandono di vaste zone del territorio, dovuto anche al continuo e costante disboscamento, favorirono, come abbiamo accennato, la diffusione delle febbri malariche, che a loro volta innescarono un nuovo ed irreversibile processo di
spopolamento che caratterizzerà i periodi successivi.

Lo spopolamento della Piana, porterà anche all'inizio della decadenza della città di Caputaquis, proprio perché venne a perdere quel ruolo baricentrico e funzionale ai vari centri abitati ed attività economiche presenti nella piana.

La Piana Pestana da una mappa "erudita" settecentesca.


La conclusione politica della guerra del Vespro, ratificata nel 1302 con la pace di Caltabellotta, coincise con l'inizio del periodo più nefasto per la regione, giacché nell'arco di tempo compreso fra il regno di Roberto d'Angiò e quello di Giovanna II, praticamente per tutto il XIV secolo ed oltre, "il territorio venne funestato da una paurosa serie di sventure: dai nuovi conflitti contro i nemici esterni, alle lotte delle fazioni interne, dall'azione devastatrice delle bande armate locali all'avvicendarsi delle compagnie di ventura che percorrevano per proprio conto la regione, dalla pirateria degli aragonesi di Sicilia a quella degli abitanti della costa amalfitana, dalla carestia del 1343 alla peste degli anni 1348, 1383 e 1401 nonché ai terremoti del 1349 e 1401". (3)

Se alla fine della guerra la città di Caputaquis apparentemente sembra riprendersi, e i guasti della guerra riparati, essa comincia comunque un inesorabile declino, avendo perso il suo stesso motivo di essere, quale centro politico, amministrativo ed economico di quella vasta rete di abitati ed attività economiche insistenti sulla sua piana. 
Lungo tutto il XV secolo Caputaquae comincia lentamente a spopolarsi, arrivando quindi al secolo successivo ad essere abitata da poche famiglie:

"...Nel 1493 abitavano in Capaccio Vecchio molte famiglie, le quali formavano Corpo di Università, ed il nuovo Capaccio a quell'epoca appellavasi Li Casali. 
A poco, a poco ed anno per anno nel tempo avvenire gli abitanti della Città l'abbandonarono, e si ritirarono ne' Casali, dando a questi il nome di Capaccio Nuovo, ma non furono avveduti di trasferire con loro la Cattedrale  ... in Capaccio Nuovo:
sebbene io credo esserne stata la cagione il non averla, come i Pestani, abbandonata in una volta, ma a varie riprese."
A scrivere è il Canonico Giuseppe Bamonte ne "Le antichità Pestane" opera che diede alle stampe nel 1819.
Lo  dice in base ad una "platea", datata (in quella parte) 19 maggio 1493, da lui consultata, da cui trae delle notizie assai sintetiche.
Una platea, in questo caso, nulla è, se non una descrizione ed inventario "delle cose, beni", luoghi, "e giurisdizioni della Chiesa Cattedrale di Capaccio sotto il titolo di S. Maria Maggiore".
In questa platea nella descrizione dei luoghi inevitabilmente vengono indicate beni e persone all'epoca ancora residenti nell'antica città di Caputaquae.
Ciò ci indica, con numerose altre evidenze documentali,  ma anche archeologiche, che la città di Caputaquis si spopolò durante un lungo processo iniziato intorno al XIV secolo e terminato nel XVI sec.. 
  
Ciò spiega il perché nel 1580, il vicario apostolico Orazio Fusco, pretendendo che i canonici risiedessero presso la Cattedrale, restaurata dal precedente Vescovo, Podocatario, e trovando l'opposizione di questi proprio a causa della sede ormai disagiata, immaginò di rivitalizzare la città chiedendo agli abitanti di Capaccio Nuovo di trasferirvisi. I Capaccesi riunitisi nel “parlamento”, organo deliberativo delle Universitas Iuris Gentium (in pratica i comuni) posero però delle condizioni e cioè che gli fossero concessi privilegi dal Papa e dal Re, tra cui le esenzioni fiscali (4).
L'epilogo lo possiamo immaginare: non se ne fece nulla.

Dello spopolamento di Capaccio Vecchio se ne avvantaggiarono i centri abitati più interni e collinari, in particolare quello che oggi è ricordato come “Li Casali di San Pietro”, ossia Capaccio Nuova, che comincerà a dirsi così solo alla fine del XV secolo. Ciò trasse in inganno lo storico P. Cantalupo che nella sua opera “ I limiti territoriali della Diocesi di Capaccio” analizzando le “Rationes decimarum ltaliae” relative agli anni 1308-1310, cioè il registro con l'elenco degli enti religiosi che in tale periodo erano tenuti a pagare le decime alla Chiesa di Roma, non vi trovò stranamente menzionata Capaccio Nuova con la sua chiesa, quella di San Pietro, senza accorgersi che era invece menzionata come “Redigliano” ("Casali Rodiliani" o "Redoliani"), toponimo che ancora sopravvive nel Capoluogo, come Rodigliano, e che ritroviamo menzionato anche nel Codex Diplomaticus Cavensis. (5)





NOTE:

(1) In Cantalupo P.,  Il feudo vescovile di Agropoli (XI-XV secolo)...
(2) Stranamente le fonti classiche, che di molte cose del nostro territorio dicono, sulla presenza della malaria , che dovrebbe essere stata endemica già allora, tacciono. A rimarcare poi tale misterioso silenzio delle fonti storiche "vi è l'incontrovertibile constatazione che la Scuola medica salernitana, pur nella sua notevole casistica medioevale di malattie e cure, non conobbe questo specifico male sia sotto il profilo diagnostico che curativo" (Cantalupo P., Vino e vigne nel Medioevo).
(3) Cantalupo P., Il bufalo nella storia e nell'economia del Salernitano.
(4) Ebner P., Chiese Baroni e Popoli del Cilento, II.
(5) Nel CDC, 9, pag. 105 (anni 1065/1072) compare un'altra variante "Ridilianum": "Ego Petrus filius quondam Mauri su[b]diaconi clarifico me habere rebus in locum Trintinaria ET in locum RIDILIANUM UBI PROPRIO MONTICELLUM DICITUR et in locum Pazzano …". Pare chiaro così che la dizione Ridilianum indica un territorio più ampio e che quindi Monticellum è una località specifica di Ridilianum.


1 commento:

  1. E sempre utile avere conoscenze storiche del nostro territorio, grazie infinite.

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