In questo articolo tentiamo, con i nostri modesti mezzi, un approccio allo studio del territorio fondato sullo studio incrociato della cartografia delle diverse epoche storiche con le tante raffigurazione artistiche del territorio, che hanno un esempio importante nelle diverse vedute della piana pestana dal XVIII secolo ad oggi, ma anche con le narrazioni di viaggiatori o le descrizioni dei luoghi contenuti in documenti d'epoca come gli atti notarili.
Fonti, quindi, di questa ricerca sono la non sempre facilmente reperibile cartografia del Principato Citra e della Piana di Capaccio, ma anche quella realizzata dai primi studiosi di Paestum e delle sue rovine oltre che l'immensa produzione di vedute che dal settecento raffigurano non solo i noti templi ma anche il territorio circostante.
Ad essa potrebbe aggiungersi, in una seconda fase di approfondimento, quella reperibile presso gli archivi di Stato di Salerno e Napoli. In questo caso non si tratta di opere d'importanti autori della cartografia generale o “regionale”, ma di tecnici di provincia che assumono le qualifiche più varie (ingegneri, architetti, maestri, mastri, geometri, periti, agrimensori, tavolari, compassatori, ecc.), spesso riunite nella stessa persona anche con aggiunte specificatorie (camerale, regio, forestale, provinciale, provisorio, ecc.). Si tratta di “artisti” che, se non sono inquadrati in un ente statale (Officio Topografico, Ponti e Strade, ecc.), lavorano su commissione di potentati ed enti feudali (laici o religiosi), trovando occasionale impiego nei lavori pubblici, ma anche come periti o coadiuvanti di quest'ultimi nelle numerosissime cause civili tra cittadini, tra questi e maggiori possidenti o enti di varia natura.
La Tabula Peutingeriana
Una delle prime rappresentazioni cartografiche che toccano anche il nostro territorio è quella della “Tabula Peutingeriana” (ill. iniziale), mappa che prende il nome dall’umanista Konrad Peutinger che la scoprì alla fine del XV secolo.
Di datazione controversa, è ritenuta una copia di età medievale, databile tra il XII e il XIII secolo, da un originale romano del IV secolo d.C.. La Tabula indica i siti e le strade esistenti nella tarda antichità e nel periodo bizantino-longobardo almeno fino a Carlo Magno.
Ill. 1 - Cosmographia Nicolai Germani, Ulma, 1482. |
Particolare d'immediata rilevanza è che il Silarum f(lumen), cioè il Sele, è disegnato erroneamente congiunto a nord con un altro fiume, il cui nome non è indicato ma che per alcuni è il Sarno. Questa congiuntura potrebbe però sottolineare la volontà in sede di redazione di distinguere in modo netto i territori compresi tra i due fiumi, i Picentini.
Infatti l’attuale regione Campania non corrisponde a quella storica romana, il cui confine era proprio il fiume Sele (1). Plinio nelle sue descrizioni cita proprio l’Agro Picentino come l’ultima parte della Campania; mentre a sud del Sele inizia la Lucania che si estende sino al fiume Lao.
Da Salerno passava la via Popilia/Annia che dopo 12 miglia toccava Picentia (Icentiae), da cui partiva una diramazione per Abellinum, fino ad arrivare 9 miglia dopo al ponte sul Sele dove c’era, secondo l’itinerario, una stazione del servizio postale e/o un villaggio chiamato Silarum/Silaron/Silarium, che segnava l’inizio della Lucania.
Il toponimo Paestum è trascritto nella Tabula con un omissione finale (Pestū), da alcuni studiosi proposta come Pestum, da altri come Pesti, considerando quindi una resa volgarizzata del toponimo romano. Accanto all'indicazione di Paestum è annotata la cifra XXXVI, cioè le miglia mancanti alla città successiva: “Cesernia”. Numerose ville sorgevano lungo la strada litoranea, che da Paestum raggiungeva le attuali località situate tra le attuali Agropoli e Sapri, passando per Velia e Buxentum.
L’esistenza della strada è attestata da Frontino, che riferisce l’episodio (avvenuto tra il 282 e il 281 a.C.) nella guerra tra Roma e Taranto, quando l’esercito del console Emilio Paolo percorse “una stretta via lungo la costa in Lucania” (Strateg.,1,4,1). Il nome di questa strada doveva essere forse, all’epoca degli Antonini, quello di Aurelia Nova, come proposto dallo studioso Vittorio Bracco (2): un percorso costiero alternativo alle vie interne. Via che dovette essere ancora in uso in tarda età come pare suggerire l’itinerario seguito dal vescovo pestano Felice che da Acropoli (Agropoli) lo portò, su invito di papa Gregorio Magno del 592 con l'epistola Quoniam Velinam (3), alle comunità cristiane di Velia e Buxentum.
Altro aspetto saliente della Tabula è che in essa mancano quasi completamente indicazioni delle località lucane, che pur in età romana erano di rilievo. Forse perché zone di “minor traffico” o prive di luoghi attrezzati per i viaggiatori, o forse, volendo presupporre delle rielaborazioni successive della mappa di età medievale, perché ormai luoghi non più significativi a causa del loro spopolamento. Infatti negli scrittori antichi e negli itinerari di età romana abbiamo molte località che non sono presenti nella Tabula. Ad esempio Lucilio (II secolo a.C.) cita il Portus Alburnus sul Sele (III, v.126), indicandone implicitamente la navigabilità fino all’interno, e per questo ipotizzato come variante della stazione di "Silaron", mentre Frontino (I secolo d.C.) i due monti del territorio pestano, il Calamatrum e il Cantenna (Strat., 2, 4-5), oppure la “Palude Lucana” a cui accennano diversi autori (Plutarco, Sallustio, Appiano Alessandrino, ecc.). Ma è anche vero che la Tabula Peutingeriana, più che essere una “carta” che vuol descrivere i luoghi, ha una funzione ben diversa indicando invece dei percorsi. Cosa che spiega la sua essenzialità.
La cartografia tolemaica
Con cartografia tolemaica s'intende tutta la produzione cartografica basata sull'opera, la “Geografia”, dello studioso alessandrino Claudio Tolomeo (nato approssimativamente intorno 100 d. C. e morto intorno al 175 d. C.).
Opera fondamentale, non perché la prima o perché originale nei metodi o nelle tecniche, ma perché sullo studio ed applicazione dei metodi e principi in essa contenuti nacque la moderna cartografia.
In essa si fa uso della latitudine e della longitudine per collocare i diversi luoghi sulla superficie terrestre. L'opera, quindi, oltre che descrivere metodi ed individuare dei principi teorici, contiene dati preziosi per i cartografi posteriori quali le coordinate di ben 6.345 località. In essa vi erano originalmente anche 27 mappe del mondo purtroppo oggi perse.
Ill. 2 - “l'Italia” di Stefano Bonsignori, Firenze, 1589. |
La“Geografia” di Tolomeo era ben conosciuta dai contemporanei e quindi era ampiamente diffusa in tutto l'Impero Romano, anche se però nei secoli successivi si ridusse al solo ambito bizantino. Nel frattempo però l'opera si diffonde nel mondo arabo sin da IX secolo d. C. E' solo agli inizi del XIV secolo che un erudito bizantino, Massimo Planude, la riscopre e ne ricostruisce le mappe perdute sulla base dei dati contenuti nel testo. Ma la nuova fortuna dell'opera inizia con la traduzione in latino del 1406 di Jacopo d'Angelo da Scarperia, che ebbe una grande diffusione (grazie anche alla successiva scoperta della stampa) e segnò la rinascita in Europa della cartografia su basi scientifiche e matematiche.
Delle numerose carte geografiche fondate sulle indicazioni del “Geografia” di Tolomeo ne propongo, la “Cosmographia Nicolai Germani” stampata ad Ulma nel 1482 (ill. 2) e “l'Italia” di Stefano Bonsignori, un dipinto ad olio del 1589 (ill. 3), conservato nella “Stanza delle mappe” del Museo di Palazzo Vecchio a Firenze e la “Geographia di Claudio Tolomeo”, edizione curata dall'umanista Girolamo Ruscelli nel 1564.
Ill. 3 - La Geographia di Claudio Tolomeo” del Ruscelli, 1564. |
La “Cosmographia Nicolai Germani” è una delle diverse riedizioni dell'opera di Jacopo d'Angelo del 1410. Nicolaus Germanus era un benedettino nativo di Ulm, che a Firenze fu autore di diversi atlanti per l'alto clero del tempo. Nello specifico l'estratto della stampa, che proponiamo, fu realizzata da Johannes Schnitzer da Armsheim.
In essa compare correttamente localizzata “Pestum”, tra il Sele e le colline cilentane (la propaggine verso la costa dell'Apenninus Mons). Diversamente dalle indicazioni delle fonti storiche compaiono i centri di “Blanda” (4) ed “Ulci” posizionate più o meno nell'area della Piana del Sele.
In realtà le localizzazioni eterogenee di diverse località sono la norma anche nelle diverse riedizioni delle mappe del “Geografia” di Tolomeo, in quanto ogni curatore vi apponeva delle presunte “correzioni” di propria mano.
Stefano Bonsignori, fu un religioso olivetano e cosmografo al servizio di Francesco I de' Medici. A lui fu affidato il completamento del ciclo delle mappe della Sala del Guardaroba a Palazzo Vecchio. Le mappe furono dipinte sugli sportelli degli armadi della sala e quella riprodotta in estratto è una di esse e raffigura “l'Italia”.
Mappa interessante per alcune sue incongruenze. Pest(um), infatti, è collocata correttamente a sud di “Eboli”, ma a nord del “Silaro f(lumen)”. “Agropoli” a sud del Sele, ma lambente il fiume. E' evidente che vi è stata una trasposizione del Sele sul Solofrone. Per di più “Capace”, cioè Capaccio Nuova, appare più a sud, cioè tra Agropoli a nord-ovest, il centro antico scomparso di “Cilento” a nord-est ed il “C. Dellabate” a sud-ovest.
La “Geographia di Claudio Tolomeo”, la cui traduzione fu curata dall'umanista Girolamo Ruscelli e la stampa realizzata a Venezia nel 1564 ad opera di Giordano Ziletti, ci da una rappresentazione più accurata e precisa dei luoghi. “Paestum” è correttamente collocata a sud del “Silarus f.”, che fa da confine tra la regione dei Picentini e la Lucania.
Nel prossimo post parleremo della cartografia napoletana del periodo aragonese e delle rappresentazione delle nostre zone nelle mappe di quel periodo.
Note
1 - La Tabula Peutingeriana rappresenta la “Luccania” fra i corsi del “Silarum fl(umen)” (il Sele) e del “Crater fl(umen)”.
2 - Bracco V., Della Via Popilia (che non fu mai Popilia), «Studi lucani e meridionali», Galatina, 1977
3 - Epist. XLIII in Ebner P., Chiese Baroni e Popoli del Cilento, I, pag. 454. Edizioni Storia e Letteratura, Roma, 1982.
4 - Si veda l'Antonini nella sua “Lucania” o anche tra gli altri l'Holstenius (Olstenio) L., (Note all’Italia antiqua di Cluverio, Lucae Holstenii Annotationes in geographiam sacram Caroli a S. Paulo; Italiam antiquam Cluverii et thesaurum geograficum ortelii, ecc.., Roma, typis Iacobi Dragondelli, 1666 e altra edizione del 1624, pp. 22 e 288.
Nessun commento:
Posta un commento