mercoledì 24 novembre 2021

LA CHIESA DELLA SS. ANNUNZIATA DI PAESTUM, LA SUA STORIA TRA IPOTESI E REALTÀ.

 


Questa chiesa è un piccolo tesoro storico ed architettonico, che purtroppo subisce l'ombra dei vicini templi greci.

È la più antica chiesa di Capaccio Paestum ed anche la più antica nell'intera diocesi tra quelle che svolsero la funzione di cattedrale.

Le sue origini non sono ancora oggi ben chiare e gli studiosi non possono che proporre che delle mere ipotesi.

Sappiamo che sorge sicuramente dopo l'editto di Costantino (313 d. C.) che permise la libertà di culto per i cristiani. Infatti non pochi studiosi hanno ipotizzato che il primo tempio cristiano in Paestum sia stato quello “pagano”, che comunemente chiamiamo di Cerere, cioè l’Athenaion.

Così scrive il prof. Paolo Peduto, medievista, in “Decadenza e Rinascita”:

“Dentro  le  mura  il  vescovo  aveva  il  suo  palazzo e, sistemato per quanto poté l’antico  Athenaion a chiesa cristiana, eresse non lontano la nuova  basilica dedicata  alla SS. Annunziata.

La sua diocesi si estendeva tra i fiumi Sele ed Alento e tra il mare e i Monti Alburni: tra la fertile pianura e i monti ricoperti di boschi. 

Il nemico ora non erano le bande armate, ma il Salso, fiume che assediava  la  città e tutto incrostava depositando calcare. 

Gli ambienti degli edifici addossati al tempio stesso si scorgono nell’unico disegno realizzato dagli scavatori degli anni Cinquanta: essi furono interpretati allora come una grande casa rurale, una fattoria, mentre  e  non  solo per  la  disposizione  topografica,  si  trattava  di  una  sorta  di  corte-quadriportico  in  cui  erano  disposti i locali dell’episcopio, così come usavano i primi vescovi che vivevano nei pressi della cattedrale alla quale accedevano direttamente dalla loro residenza.

L'imponenza della basilica cristiana ricavata nel vecchio tempio era palese, meno forse la funzionalità, perciò si rese necessario costruire una seconda cattedrale, la SS. Annunziata, cosi come accadeva negli anni a Milano, a Pavia e altrove. Sul volgere del  VI secolo la città, contratta intorno a questi due edifici, aveva il confine segnato tutto intorno da sepolcreti cristiani.”


Paestum. Planimetria dell’area antistante l’Athenaion  con i ruderi altomedievali, distrutti a partire dagli anni Trenta  del ’900 (da P. Peduto, Decadenza e rinascita)


Il sito dove poi sorse la Chiesa dell'Annunziata da risultanze archeologiche potrebbe essere stato in precedenza votato ad area sacrale.

Ce ne dà notizia Marina Annunziata Cipriani:

“...Paola Zancani da una breve notizia della scoperta, 4 metri sotto il pavimento della chiesa, di un nucleo esiguo di statuette e ceramiche prevalentemente di VI/ V sec. a. C. La studiosa pubblica la notizia in un articolo intitolato 'Piccole cose pestane', MDAIR, 1963, p. 27, attribuendo gli oggetti ad un'area di culto alle dee dell'Oltretomba. In realtà, come ho sostenuto, andrebbe valutato il rapporto di contiguità topografica con altre evidenze coeve di sacro venute in luce negli scavi di E. Greco alcuni metri a Est nello spazio marginale occidentale dell'agora.”

Comunemente nella letteratura specialistica si indica stereotipatamente la fondazione della Chiesa della SS. Annunziata intorno al V secolo d.C.. In realtà si tratta di una ipotesi, basata su mere congetture, e non vi sono evidenze reali per collocarla senza dubbio alcuno in questo periodo. Nulla toglie che possa, in realtà, essere più antica o posteriore. 

Così lo stesso Gabriele De Rosa, nel suo scritto “La Chiesa della SS. Annunziata a Paestum”, non si esime dall'ipotizzare non solo la possibile data di edificazione ma anche il suo sviluppo architettonico nel tempo:

“Intanto possiamo dire che l’antica basilica, risalente agli inizi del V secolo, era del tipo «basilica aperta», trasformata in «basilica chiusa» a fine V secolo e inizi del VI, che è la forma che oggi conosciamo. La basilica fu costruita in luogo molto vicino all’antico tempio di Cerere.”

In realtà presume lo sviluppo dell'edificio, da basilica “aperta” a “chiusa” più che da certe evidenze archeologiche da quello che fu lo sviluppo di analoghi edifici per ciò che allora dell'architettura paleocristiana si conosceva.

Così come ancora si discute tra gli studiosi se la chiesa nacque come vero e proprio edificio di culto o come mera cappella cimiteriale.

Sempre congetturando su quelle che erano le caratteristiche dell'architettura paleocristiana, si e ipotizzato tra gli studiosi, che anche la primitiva “basilica paleocristiana” pestana avesse un quadriportico, cioè un cortile di forma quadrata circondato da un porticato, nel quale i non battezzati, che non avevano accesso al vero e proprio tempio cristiano, potevano seguire parte delle funzioni sacre.

In realtà le sopravvivenze del quadriportico, ancora visibili come blocchi di colonne doriche inglobate nelle murature moderne, per alcuni studiosi possono essere ricondotte piuttosto all'ampliamento medievale. Nulla però ci impedisce di pensare che l'antico atrio paleocristiano sia stato  anch'esso rifatto in epoca normanna.

Sicuro è invece che la primitiva chiesa fosse ad un'unica navata, orientata sull'asse est-ovest, con l'abside, ad oriente, cioè dove sorge il sole, e l'ingresso ad occidente. Orientamento dai numerosi significato simbolici.

Peduto, poi, sempre in “Decadenza e Rinascita”, individua come elementi architettonici paleocristiani “i due archi della controfacciata che formavano la bifora dell’ingresso originale (V-VI sec.), la base della colonna centrale ancora visibile fino a qualche tempo fa sta ora murata sotto la soglia.”

Scrive sempre Peduto:

“Secoli dopo, tra XI e XII, la SS. Annunziata venne rinnovata secondo il modello dell’architettura desideriana che da Roma e da Montecassino influenzò la forma delle chiese della Campania  intera.”

Ciò non deve meravigliarci, perché, malgrado la più diffusa opinione comune, Paestum e la sua Piana anche nel medioevo continuarono ad essere luoghi vissuti, praticati e centrali ed economicamente importanti.

Difatti nella piana non mancavano villaggi, casali, grangie, che ritroviamo citati nei documenti d'epoca, quali  San Cesario di Capaccio, Gromola, S. Basilio, Spinazzo, S. Barbara, Casavetere di Capaccio, Silifone e Mercatello.

Lo stesso lido di Paestum era un luogo di carico e scarico di merci trasportate via mare per tutto il Mediterraneo Occidentale ad iniziare dai legnami, provenienti dalle zone interne, sino ad arrivare ai cereali come grano ed orzo, intensamente ed estensivamente coltivati in tutta la piana.

Era dunque un epoca economicamente florida, tale da giustificare e permettere una ristrutturazione della chiesa pestana.

L'intervento effettuato sulla primitiva chiesa paleocristiana fu importante in termini quantitativi e qualitativi. La chiesa fu ampliata con due navate laterali absidate, fu innalzato il colonnato, oggi visibile, con il riutilizzo di materiali di recupero dalla città antica, come le 12 colonne in granito della Sardegna ed i capitelli corinzi.


Sono tutt'ora visibili diversi materiali di riuso, ad esempio lungo il perimetro murario esterno come  rocchi di colonne e capitelli, dove però gli interventi delle epoche successive, alterando la struttura della chiesa, ne hanno reso illegibile il ruolo decorativo e funzionale.

La chiesa era probabilmente affrescata, lo sappiamo dai frammenti superstiti tutt'ora visibili nell'abside.


Sull'aspetto della chiesa medievale sappiamo ben poco, se non per approssimazione e ne abbiamo già citato gli elementi essenziali poc'anzi.


Giuseppe Bamonte nelle sue “Antichità Pestane” del 1819 scrive che:

“Nel 1493, come rilevassi da una platea della Mensa Vescovile, oltre l'antica chiesa vi era una piccola casa attaccata, consistente in una stanza inferiore, una superiore ed un cellaro (forse quella casetta, dove ora vive l'eremita) e dippiù una casa detta cisterna”.


Sappiamo, poi, che vi fu un nuovo rifacimento della chiesa con il vescovo Ludovico Podocataro (1429-1504), umanista di nobili origini greche-cipriote, che fu anche rettore dell'Università di Padova.

È Andrea Bonito, che fu vescovo di Capaccio dal 1677 al 1684, a darcene notizia anche se probabilmente erroneamente indica come data dell'intervento il 1504. Ciò perché il Podocataro fu vescovo della diocesi caputaquense tra il 1483 ed il 1503.

Il rifacimento della chiesa, avvenuto quindi precedentemente a quella data, dovette essere di una certa importanza e rilievo se come pare vi fu un innalzamento del livello del piano del pavimento di un metro e dieci centimetri.

Ciò significa che l'impianto romanico fu pesantemente modificato, anche se non sappiamo come tale intervento abbia modificato anche il resto della chiesa, ad esempio nelle sua architettura e decorazioni. Possiamo solo immaginare che probabilmente avvenne secondo il gusto del tempo e le possibilità di spesa.

Lo stesso vescovo Bonito dovette intervenire più di un secolo e mezzo dopo con una nuova ristrutturazione della chiesa per scongiurarne un imminente crollo.

Le colonne romaniche emergenti durante il "restauro" del 1968.


Malgrado quella che sembra una situazione di degrado Paestum e la sua chiesa mantennero anche in età moderne un certo rilievo. Non solo la chiesa era il riferimento per quanti nel circondario lavoravano o vi passavano per tutto quanto atteneva il conforto spirituale e la somministrazione dei sacramenti, ma ma vi si faceva anche mercato.

Scrive infatti il vescovo Bonito in una sua relazione del maggio 1682:

“Haec (ecclesia) est sub vocabulo SS.mae Annunciationis, cuius tantum festu ibi solitaria celebratur; magno accolarum congressu et devotione et emporiis allicitorum”.

Vincenzo Rubini, compianto cultore di storia locale, in la “Coppola di don Ciccillo ed altre storie e storielle pestane”, ricorda come, oltre alla tradizionale (ancora oggi celebrata) festa dell'Annunziata del 25 marzo, anticamente ve ne fosse ancora un'altra dedicata ad un santo oggi dimenticato, San Apollonio:

"Si celebrava l'ultima domenica di maggio, richiamava un grande concorso di fedeli e coincideva con una fiera molto frequentata, tanto che tra gli obblighi dell'Università verso il feudatario, vi era quello di fornire, in quella occasione, un certo numero di uomini, per rinforzare la 'bandiera' del conte, che manteneva l'ordine e riscuoteva le tasse dei mercanti, che vi affluivano; ce ne è pervenuto un documento che si riferisce all'anno 1567”.

Entrambe le fiere, quella dell'Annunziata e quella di San Apollonio, si tenevano nello spazio contiguo la chiesa dove ora sorge il Museo di Paestum.

In una relazione del 20 marzo 1613 di Pietro de Matta y Haro, vescovo di Capaccio dal 1611 al 1627, si legge che i vescovi della diocesi caputaquense, benché la sede vescovile non fosse più in Paestum, continuarono a tenere personalmente in questa chiesa pestana nel giorno dell’Annunziata una solenne celebrazione.

Sempre il Rubini, poi, cita Michele Zappulli, che abitò a Capaccio sino al 1566 e per questo testimone diretto, che nella sua “Istoria di Napoli” ricorda la Chiesa Cattedrale di Paestum “dove i diocesani rendono ubbidienza al loro vescovo oggi detto di Capaccio”.

 Scrivo di tutto ciò per riequilibrare una narrazione storica che descrive con toni assolutamente negativi la realtà economica, sociale ed umana del territorio di Capaccio Paestum e più in particolare di Paestum e della sua piana.

Il quattrocento fu un secolo terrificante per tutto il sud della provincia di Salerno ed in particolare per il nostro territorio. La Guerra del Vespro prima, poi quelle successive che videro contrapposti ancora aragonesi ed angioini, baroni e sovrani, le susseguenti carestie ed epidemie, portarono alla distruzione di quella rete di villaggi, casali, grange e masserie che avevano permesso la rinascita economica medievale e la tenuta del territorio con opere di drenaggio e canalizzazione delle acque. 

Il risultato finale fu, diminuita l'opera fattiva dell'uomo, un aumento del territorio acquitrinoso e paludoso. Al contempo si diffusero quelle che una volta erano dette febbri terzane e quartane, cioè la malaria. 

La crisi quattrocentesca porta come conseguenza inevitabile la perdita del ruolo baricentrico della città di Caputaquis sul Monte Calpazio rispetto ad una piana non più popolata stabilmente e l'inizio del suo spopolamento, che a fine secolo può dirsi completato.

Quindi la diocesi di Capaccio era particolarmente disagiata per i vescovi del tempo, perché la cattedrale, detta di Santa Maria Maggiore, a Capaccio Vecchio dal cinquecento era solitaria in una città ormai deserta ed in rovina, la concattedrale, la Chiesa dell'Annunziata, a Paestum, anch'essa in una città diruta.

Così inevitabilmente i vescovi dovevano giustificare il loro venir meno all'obbligo sancito dal Concilio di Trento di residenza nella propria sede vescovile. Provvedimento allora preso per combattere il malcostume dei vescovi assenteisti, che delegavano le proprie funzioni a vicari, per spendere le rendite e condurre una vita agiata nei centri più importanti, popolosi e ricchi d'attrative.

Ciò determinò, come scrive il vescovo Morello in una sua relazione ad limina, che i suoi predecessori, siamo alla fine del cinquecento, risiedessero a Salerno o “in aliquo loco Dioecesis ubi sibi placet”.

Ed è proprio con il vescovo Morello, che la sede della diocesi, con il placet di Papa Sisto V, sarà spostata a Diano, l'attuale Teggiano, investendone la cittadina di tutte le prerogative relative, pur mantenendo la diocesi il titolo di “Caputaquense”.

Inevitabile, quindi, la perdita d'importanza delle due vecchie cattedrali, quella di Capaccio Vecchio e quella di Paestum, con un sempre crescente disinteresse delle autorità vescovili, con importanti eccezioni, tanto che, per l'appunto, andarono gradatamente in rovina, necessitando così nel tempo di diversi ed urgenti interventi di recupero.

Strana poi la narrazione del De Rosa nella sua opera sulla Chiesa dell'Annunziata, dove apparentemente attribuisce le descrizioni delle genti e dell'ambiente nelle relazioni ad limina dei vescovi caputaquensi, assolutamente negative e di rara crudezza, al solo territorio capaccese, quando esse erano invece relative all'intera diocesi.


Estratto di una veduta settecentesca di Paestum, che mostra la Chiesa dell'Annunziata con il palazzetto vescovile.


Ma torniamo alla storia della nostra chiesa in Paestum.

Dalla relazione del giugno 1630 del vescovo Francesco Maria Brancaccio si apprende che nella chiesa pestana vi era un solo altare e che era senza campanile nè campane. Inoltre aveva provveduto alle necessarie riparazioni, aggiunto una camera e rifatto la copertura della chiesa.

Da quella del vescovo Bonito del 1682 vi è notizia che la chiesa è frequentata da fedeli, anche se il luogo ormai è insalubre ed addirittura infestato da serpenti. Anch'egli, a sue spese, interviene per effettuare delle riparazioni.

Ma è nel settecento che la Chiesa dell'Annunziata subirà un nuovo recupero, che più che un restauro può essere definita una vera è propria riedificazione per la mole degli interventi realizzati.

Scrive Gabriele De Rosa:

“Con il vescovo Agostino Odoardi abbiamo il vero restauratore della chiesa pestana, colui che ad essa diede l’impronta dello stile del secolo. 

L’Odoardi scriveva nel 1729 informando che a Paestum non esisteva cattedrale, ma solo una chiesa antica oramai decaduta, priva di ogni suppellettile sacra, al punto che si poteva chiamare « profanus locus », e che egli aveva rifatta dalle fondamenta.

 Quando l’Odoardi divenne vescovo di Capaccio (14 febbraio 1724), dunque, la chiesa pestana era sfiancata, « prae vetustate fere collapsa »: egli la rimise su dandole una forma poco rispettosa dell’antica struttura e che tale rimase sino a qualche anno fa. 

Cinque anni dopo, in altra relazione ad limina l’Odoardi si dilungò sullo stato della Chiesa pestana: a che cosa si era ridotta e quanto egli avesse operato per restaurarla. 

… Al suo arrivo la cattedrale di Paestum assomigliava più a una stalla, a una spelonca di predoni, che a una casa di Dio. Tuttavia, di una chiesa vi sarebbe stato bisogno in quella zona, popolata di coloni e da numerosi custodi d’armenti che affluivano da varie regioni per ascoltare la parola di Dio, la messa nei giorni festivi, e per ricevere i sacramenti.”

Inoltre:

“L’Odoardi curò che fosse costruito un cimitero che mancava e ornò la sacrestia di paramenti sacri con due calici d’argento, mise due campane nel nuovo campanile, che purtroppo nel recente restauro è andato distrutto, infine la dotò di duemila ducati, ne affidò la manutenzione al regale monastero di S. Severino dell’ordine di S. Benedetto, congregazione cassinense”.


Tra l'altro rialzò il piano di calpestio della chiesa di ulteriori settanta centimetri, portandolo al livello di  quello esterno alla chiesa. 

Scrive il Bamonte a proposito del restauro voluto dal vescovo Odoardi, che:

“Gli artefici nel rimodernarla in assenza del vescovo commisero grave sbaglio, perché covrirono con fabbrica le colonne di granito orientale, che sostenevano gli archi delle navi, in luogo delle quali oggi veggonsi dei pilastri; anzi due colonne furono affatto tolte, e giacciono buttate davanti la porta della cattedrale”. 

In realtà “l'assenza” del vescovo Odoardi era dalle sue funzioni. 

Egli infatti risiedeva stabilmente a Capaccio, ma a causa di un “male alle ginocchia” era impedito a svolgere pienamente il suo ruolo, tanto che dovette chiedere ad Angelo Anzisi, Vescovo di Eboli e Satriano, di realizzare al suo posto la visita pastorale del 1738 nella sua diocesi.

Aggiunge poi il De Rosa che in “una memoria unita alla relazione dell’Anzisi il vescovo di Capaccio è descritto peraltro come uomo che conduceva vita monastica, più che di pastore e prelato di Chiesa".


La Chiesa della SS. Annunziata di Paestum in versione  barocca.


Odoardi, quindi, fece della Chiesa dell'Annunziata, una chiesa in stile barocco, sia nella struttura che nelle decorazioni interne che esterne. La finestra ad arco dell'abside, oggi invece aperta, venne murata e sopra l'altare inserita un'edicola con la statua della Madonna dell'Annunziata, a cui l'altare maggiore era dedicato. 

Nella navata di sinistra fu realizzata una cappella con l'altare dedicato a San Michele Arcangelo. Culto, quello del Sant'Arcangelo, antichissimo, di cui le prime notizie a Capaccio risalgono all'XI secolo, quando è attestata nel Codex Diplomaticus Cavensis l'esistenza di un chiesa rupestre sul Monte Soprano in località Velanzano (cioè nelle vicinanze dell'attuale Rodigliano) retta allora da un abate. Cosa che fa supporre l'esistenza di una comunità monastica. È possibile, quindi, ipotizzare, che il Vescovo Odoardi, realizzando tale cappella, abbia voluto dare continuità ad un antica tradizione cultuale.

Nella navata di destra fu realizzata, invece, una cappella senza altare dedicata all'Addolorata.

Di tali innovazioni ce ne dà ancora notizia il Vescovo Anzisi.

Sempre sulla navata di destra vi era il pulpito ligneo per le prediche.

Pietro Antonio Raimondi, vescovo di Capaccio tra il 1742 ed il 1768, completò l'opera del suo predecessore abbellendo a sue spese la chiesa con marmi e ornamenti per l’altare maggiore. Proprio sul finemente intarsiato altare marmoreo vi era riprodotto lo stemma episcopale del Raimondi, mentre è ancora visibile l'altro sulla facciata esterna della chiesa.

Inoltre edificò anche il “palatiolum” barocco accanto alla chiesa che il Vescovo Filippo Speranza nella sua relazione del 1821 definisce “elegante”:

“...mea residentia peragiter in hac civitate Novii, et quandoque in illis Caputaquen novi, Salae et meo Palatio Paestano, alii cathedrali aelegantis structura contiguo”.

È nel 1968 che, su sollecitazione dei Padri Vocazionisti, la Soprintendenza ai monumenti di Napoli interviene pesantemente sulla chiesa distruggendo l'impianto barocco.

Intervento assolutamente discutibile e incomprensibile nelle intenzioni come nella sua concreta realizzazione.

Lo scopo pare fosse quello di liberare la Chiesa dell'Annunziata dalle sovrastrutture barocche per far emergere l'originale basilica paleocristiana. Già così non si capisce perché l'antica presunta impostazione paleocristiana fosse più meritevole di essere tutelata di quella posteriore barocca, ma lo stesso intervento fu assolutamente distruttivo e non scientifico.

Peggio! L'intervento, come detto, pessimamente realizzato, non mise in luce affatto l'antica chiesa paleocristiana, ma sostanzialmente quella medievale di stile romanico.

E non poteva essere diversamente, perché l'ampliamento medievale e le ristrutturazioni successive avevano di fatto cancellato l'impianto paleocristiano. 

Ciò però non ha impedito di spacciare nei decenni successivi la Chiesa dell'Annunziata, come “basilica paleocristiana”, sia nei primissimi studi che tutt'ora nella comunicazione istituzionale, mentre dovremmo definirla più realisticamente, per come si presenta oggi, “romanica”.

Di certo... certa segnaletica ancora alimenta tale falso.


Le colonne romaniche emergono dalla sovrastruttura barocca.


La Soprintendenza distrusse tutto l'impianto barocco, liberando le colonne romaniche, eliminando all'interno ogni decorazione barocca, abbassando il livello del pavimento di un metro e ottanta, riportandolo, così, a livello di quello antico, addirittura, senza alcuna necessità o ragione, abbattè il bel campanile a vela. Delle due campane che vi erano installate, una con data 1732, si trova presso l'ingresso, mentre l'altra è tuttora montata sulla cappella adiacente alla chiesa.


Anche lo spettacolare altare maggiore fu distrutto e sostituito con un frammento di un sarcofago in calcare rinvenuto nei lavori di “restauro” all'interno della chiesa. Questo marmo era in origine collocato all'interno di un altare in tarsie policrome di epoca barocca, per ricordarne l'uso, secondo un'antica tradizione popolare, come urna reliquiario delle spoglie di S. Matteo.

Infatti una dimenticata tradizione vuole che le spoglie del santo siano state conservate per un certo tempo proprio nell'allora cattedrale pestana.


L'abside con il campanile settecentesco a vela.



La Chiesa oggi.


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