"Agone è l'inizio ch'il campo dove si combatte" (Paolo Majorino)
Cercando tra vecchi libri, mi è
capitato questa copia de “La Gerusalemme Liberata” di Torquato Tasso,
stampato in Padova da Pietro Paolo Tozzi il 1628. Pur essendo antico, ha
un valore economico modesto, ma ha importanza per lo studioso.
La
particolarità di questo libro è che è stato testo di studio è come tale
tramandato da una generazione all’altra.
Chiarificatrice è la scritta
vergata a mano alla pagina due:
"Il Principe de' Poeti d'Italia,
Testo dell'Italiana Nobile Favella,
Per esercizio
dell'Italiana triplicata Eloquenza,
Oratoria, Poetica, Storica,
letto, riletto, e notato
da Paolo Majorino di Napoli,
del giureconsulto Carmine
Figliolo."
Il libro è vergato da numerose note a
compendio del testo. Annotazioni che si susseguono di generazione in
generazione: l’esegesi dei versi, aneddoti e curiosità sul Tasso e sui
personaggi dell’opera, riferimenti storici, ecc.
Lo scopo è dichiarato “per esercizio dell’italiana … eloquenza, oratoria, poetica, storica”.
E non manca lo sprone allo studio: "Agone è l'inizio ch'il campo dove si combatte".
E’ una testimonianza di quella
borghesia di provincia, che nel paesello viveva “more nobilium” e in
città esercitava le nobili professioni. Il Cilento, come Capaccio, ebbe
una piccola e media borghesia degli affari, delle professioni, ma anche
possidente ed agiata che traeva il suo sostentamento dalle rendite dei
beni aviti. Talvolta accadeva che una generazione si dedicasse alle
professioni liberali pur potendosi mantenere nella rendita.
Le attività manuali erano ritenute volgari, così i mestieri, che erano propri degli artigiani.
Di nascosto agli occhi dei famigli e degli estranei poteva capitare che
il borghese, quello non molto facoltoso, potesse anche dedicarsi alla
cura dei propri beni eseguendo ad esempio delle riparazioni o piccoli lavori manuali. Cosa testimoniata in molti libri o memorie di famiglia.
Anche gli affari erano considerati cosa non onorevole, anche se di
solito erano il trampolino di lancio (come anche l’amministrazione dei
beni di qualche feudatario) per accedere allo status socialmente
superiore, quello di chi aveva beni bastanti da permettergli di vivere
di rendita.
Ma nella piccola borghesia di provincia
la cura dei propri beni era diretto interesse dal borghese. Questi
annotava minuziosamente ogni cosa, trascrivendolo anche nei libri di
memorie, in modo che le generazioni future conoscessero l’impegno e la
storia di chi li aveva preceduti, oltre che le modalità d’acquisizione
di un bene, così che non se ne perdesse la memoria, temendo sempre,
sopra ogni cosa, eventuali cause legali che potessero metterne in dubbio
la proprietà.
La ricchezza salvo casi particolari si creava
generazione dopo generazione attraverso un processo di accumulazione e
di concentrazione di questa nelle mani del primo figlio. Per gli altri
giusto il minimo o un futuro da religioso.
Ma la cosa che più
temeva il borghese era maritare una figlia. Significava fornire per
questa una dote proporzionale al lignaggio ed alla ricchezza del futuro
sposo. Certo, i matrimoni erano anche “affari”, un modo per consolidare
il proprio status sociale e per rafforzare legami con altre famiglie,
meglio se prestigiose. Accadeva quindi spesso che per le figlie “in
eccesso” si aprisse la via del convento.
E fù così che
nell’estate del 1712 un mio antenato, Antonio de Sierio (Di Sirio)
sposò, Porzia, l’unica figlia di Cosimo de Majorinis (Majorino) della città di
Montecorvino nel Principato Citra.
Enzo Di Sirio
Ho letto l'articolo di Gaetano Ricco su "Unico"* e debbo dire che non l'ho capito.
Ha ragione quando dice che Paestum è patrimonio dell'Umanità
(indipendentemente che sia sito UNESCO o meno). Un solo esempio è
bastevole. Il successo dell'architettura neoclassica in Europa e nel
Nuovo Mondo avvenne grazie all'opera grafica di personaggi come il
Piranesi, che diffusero in mezzo mondo disegni e stampe dei nostri
magnifici templi dorici.
La città antica è sicuramente
patrimonio di tutti i paesi dell'antica Chora pestana. Anch'essi sono
figli di Paestum. Ma Paestum è anche patrimonio dei Capaccesi (o
Neopestani), che di questo tesoro sono immeritevoli eredi e cattivi
custodi.
Si contesta l'uso del nome di Paestum a scopo
commerciale. Ma in realtà con l'iniziativa dell'amministrazione Voza non
si vuole altro che rivendicare l'eredità pestana aggiungendola a quella
storica della comunità capaccese. Capaccio-Paestum per l'appunto!
Infatti, penso, che come tanti altri comuni prima di noi, non si faccia
nulla di strano. In fondo la stessa Paestum aveva come toponimo storico
quello di Pesto.
E allora di cosa parliamo?
Penso
alle innumerevole attività commerciali, quelle sì sfruttamenti del nome
della nostra Paestum, per nulla localizzate nel nostro territorio. Penso
addirittura ad una linea di servizi igienici di una nota marca del Nord
che porta il nome di Paestum. Perché costoro utilizzano il nome di
Paestum? Probabilmente perché ha un appeal? Forse che altri possono
farlo legittimamente e gli eredi diretti di quella antica città no?
Qual è il problema se i Capaccesi vogliano aggiungere alla denominazione del loro comune “Paestum”?
Anticamente, in tempi ormai remoti anche alla memoria di molti,
Roccadaspide era denominata “Rocca dell’Aspide di Capaccio”. Poi i
nostri vicini preferirono essere solo Rocchesi. Nessuno nega la
possibilità ai nostri amici di dietro Monte Soprano di potersi
nuovamente ricollegare alla tradizione della Chora pestana (che
ripudiarono, ripudiando Capaccio) appellando il loro comune come “Rocca
dell’ Aspide di Paestum”. Cosa che possono fare anche i nostri vicini
Trentinaresi, Giunganesi, Albanellesi... Immagino già l’intera Chora
poseidoniate ricongiungersi nel nome di Paestum. :D
Enzo Di Sirio
*L'articolo a cui si fa riferimento è "In difesa di Capaccio e per
amore di Paestum" di Gaetano Ricco. Leggibile seguendo il link: http://www.matinella.it/?p=15599
Sono giorni che vedo i pullmanini del servizio
di trasporto urbano tristemente vuoti.
Mi dicono (cosa che non so se
vera) che costino quasi 900 euro al giorno. Sono, e lo dico per
chiarezza, uno di quelli che erano e sono tutt'ora entusiasti
per quest'iniziativa dell'amministrazione comunale.
Mi domando però
cosa non stia funzionando.
E' un problema logistico di linee urbane?
O
forse è un difetto di comunicazione verso coloro che dovrebbero essere i
destinatari principali del servizio in questo periodo, cioè i
vacanzieri? Perché malgrado tutto ne vedo tanti raggiungere lo Scalo o
Paestum a piedi. Mi domando allora l'orario con le linee oltre che
pubblicizzato sui media (cosa episodica e momentanea) è stato diffuso
tra gli esercenti commerciali, bar, ristoranti, stabilimenti balneari,
alberghi e camping perché venga esposto? Perché una delle leggi della
comunicazione dice "che un fatto di cui non si parla è come se non fosse
mai avvenuto". O meglio potremmo dire che è come se questo servizio non
esistesse.
"Pensi ai cattolici... all' Eucarestia. Non si trasformano in cannibali?" (Pierre Antoine Bernheim)
Che cos'è la Teofagia?
E'
il cibarsi di una vittima sacrificale (o di un suo sostituto
simbolico) identificata con la divinità stessa o meglio è l'ingestione
del dio come avviene in alcune religioni.
La differenza tra la
Teofagia ed altri tipi di sacrificio non è sempre del tutto netta:
quando nelle religioni politeistiche a una determinata divinità si
offre un animale perché è la sua vittima preferita e con esso ha anche
legami mitologici e iconografici (per es., a Zeus e a Dioniso il toro,
ad Artemide la cerva), si ha già una forma implicita o velata di
teofagia.
La Teofagia si ritrova in molte religioni. In alcune
società aborigene dell’Australia, in deroga all’interdizione alimentare
riguardante l’animale o pianta totem, il clan totemico, una volta
l’anno, procedeva alla comunione sacramentale con il proprio totem. Così in taluni clan della tribù degli Arunta, il canguro e l'emu nella grande cerimonia dell'intichiuma vengono ritualmente uccisi e mangiati dai presenti in pasto di comunione per rinnovare l'alleanza
con l'animale totem e rinvigorire nel medesimo tempo la coesione del
gruppo. Oppure quanto avveniva presso i beduini del Monte Sinai, un
cammello era ritualmente consumato ancor caldo per intero senza lasciare
neppure le ossa.
Altro esempio è nei misteri di Dioniso. Un
cerbiatto o un capretto veniva addentato vivo, intendendo gli adepti
con ciò consumare l'unione suprema con il dio incorporato in quell'animale
Nel
Messico precolombiano certe forme di cannibalismo rituale in cui l’uomo
sacrificato e successivamente mangiato viene identificato con una
divinità, sembrerebbero definibili in termini di teofagia.
In
senso meno rigoroso si considerano teofagie anche le ingestioni di cibi
particolari o di animali sacri a una data divinità, come il ciceone nei
misteri eleusini, quello che si gustava dal cembalo e dal timpano sacro
dei misteri mitraici, il banchetto sacro degli isiaci e quello di pane e vino mescolati all' haoma presso gli iniziati di Mitra.
Il
primo utilizzo del vino al posto del sangue, venne praticato in Egitto
1500 anni prima di Cristo, dai sacerdoti della dea Iside.
I sacerdoti compivano quel rituale magico che prende il nome di transustanziazione, trasformando il vino in sangue:
”Tu sei vino ma non sei vino perché tu sei le interiora di Iside”.
Dopo di ciò il calice veniva passato ai fedeli per essere bevuto.
Coloro
che introdussero per primi il pane nel sacramento eucaristico,come
sostanza trasformabile nel corpo di dio furono, come già accennato, i
sacerdoti di Dioniso, che essendo dio di fertilità e di abbondanza era
simboleggiato da un chicco di grano.
Questi due elementi, vino e pane, furono poi utilizzati da tutte le religioni nelle loro consacrazioni.
Gli stessi rituali di transustanziazione li ritroviamo nelle messe cristiane, evidenti imitazioni di rituali pagani.
"Il cannibalismo è anche un fatto religioso?
Pensi ai cattolici... All' Eucarestia. Non si trasformano in cannibali?
Assorbono realmente il corpo e il sangue di Cristo.
Si
dirà : è un atto simbolico, il che, però , è negato dal Concilio
Lateranense IV del 1215 e dal Concilio di Trento del 1545. Chi pensava
che fosse un atto simbolico era considerato un eretico.
I protestanti hanno accusato i cattolici d' essere degli antropofagi.
Quando
ingoiava l' ostia sacra, la mistica Colette Corbie aveva come una
visione, quella di mangiare carne macinata. E non era la sola mistica a
provare fenomeni del genere.
In un catechismo del Seicento,
redatto come botta e risposta, a un certo punto c'è questa domanda:
perche' Gesu' si da' a noi sotto forma di "carne"? E' usata proprio la parola "carne", in francese "viande". E la risposta e' stupefacente: perche' consente una migliore assimilazione.
San
Tommaso d' Aquino, parlando dell' Eucarestia, si domanda: non e' che i
credenti, non provando il gusto di sangue e carne, potrebbero essere
ingannati dai loro sensi?" (Intervista a Pierre Antoine Bernheim.
"Cannibali fra noi" di Sergio Quinzio , Corriere della Sera del 26
maggio 1993)
A questo punto abbiamo diversi interessanti spunti di riflessione.
Il primo è che il rito dell'eucarestia parebbe una forma di teofagia.
E qui scatta il secondo spunto. Anticamente, ad esempio nella tradizione dei Veda, gli Dei, i Veda, si nutrivano delle offerte e delle preghiere degli uomini, che li sostenevano nella loro deità.
Qui siamo ad un'inversione.
E' il nutrirsi della divinità del Cristo a permettere all'uomo di
acquistare l'immortalità. Anche perchè, ricordiamolo, il Corpo di
Cristo è Corpo Mistico. Esso è la "Vite" di cui i Santi (i Cristiani) sono il "Tralcio". E' quindi un "Unio Mistica" del Cristiano in Cristo, di cui l'Ecclesia è solo manifestazione terrena.
"Perciò
Gesù disse loro: «In verità, in verità vi dico che se non mangiate la
carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete la
vita in voi. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha vita eterna, e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Poiché la mia carne è veramente cibo e il mio sangue è veramente bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, dimora in me ed io in lui." (Giovanni 6, 53-56).Poi,
preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: «Questo
è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me». Allo
stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: «Questo calice è
la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi.” "In
quel giorno conoscerete che io sono nel Padre mio, e voi in me e io in
voi" Giovanni 14:20. "Dimorate in me, e io dimorerò in voi. Come il
tralcio non può da sé dar frutto se non rimane nella vite, così neppure
voi, se non dimorate in me" Giovanni 15:4.
Quindi
nutrirsi di Cristo è un modo diretto per assimilarlo e divenire
misticamente tutt'uno con esso. Ed ecco la Teofagia. Un vecchio adagio
ci ricorda che "noi siamo ciò che mangiamo".
Un ultima riflessione ex post per agevolare la comprensione del sacro mistero. Dal punto di vista dell'alchimista nel rito dell'Eucarestia l'Opus Alchemicum trova il suo pieno compimento, il pane e vino consacrati sono il Lapis Exilis o Lapis Elixir, la Pietra Filosofale, Vera Medicina.
"Il Pane ed il Vino del sacrificio mistico, sono lo Spirito od il
Fuoco della materia; con la loro unione, queste cose producono la vita.
ecco perché i manuali iniziatici cristiani, chiamati Vangeli, fanno dire
allegoricamente al Cristo: Io sono la vita; Io sono il pane vivente; Io
sono venuto per mettere il Fuoco nelle cose, e lo avvolgono nel dolce
segno esoterico dell’alimento per eccellenza".
Brano di Pierre Dujols, citato da Fulcanelli ne Le Dimore Filosofali, vol. IAbbiamo
" Abbiamo
dimenticato che l'Alchimia è un'Arte sacerdotale. Potete prendere del
pane e del vino, potete pronunciare le parole... abbiamo il rituale...
Non potete fare la transustanziazione dell'Eucarestia se non siete un
sacerdote ordinato che possieda la Fede, nella giusta situazione
interiore ed esteriore... e la Fede è un altro miracolo."
Trascrizione dell'intervento di Paolo Lucarelli in occasione del "Colloque Eugène Canseliet"
a Parigi, La Sorbonne, 4 e 5 Dicembre 1999
Ringrazio Maria Ferres per avermi dato questo spunto di riflessione.