Edmund Burke |
“La mia destra “ è, come dice il sottotitolo, un “percorso storico” della destra italiana dalla gloriosa Destra storica di Cavour, quella per intenderci che fece l’unità d’Italia e che ne pose l’impianto statuale iniziale, a quella nostra contemporanea: il MSI e Alleanza Nazionale.
Ma cos’è questa idea straordinaria?
Domanda a cui molti hanno cercato di dare risposta. Definire cosa sia la Destra, o il suo opposto, la Sinistra, è un’impresa in cui molti si sono cimentati scoprendo spesso, nel caso che non si volesse indicare una via personale, che essa è una chimera. Gli studiosi in tal senso si sono divisi, scontrati, gettando talvolta la spugna.
Infatti, non mancano coloro che pensano che la Destra e la Sinistra siano ormai nomi senza soggetto. Vi è chi dice che il novecento con i suoi tumultuosi avvenimenti storici abbia tolto a questa diarchia ogni significato. A partire dalla nascita di movimenti politici come i fascismi, che hanno visto dare alla loro formazione un forte contributo da uomini e idee di provenienza anche opposta, creando degli ibridismi, come nel caso della destra sociale italiana che non ha disdegnato guardare ad Antonio Gramsci come a uno dei suoi punti di riferimento ed ispirazione. Altri ancora, come Lucio Colletti, affermano che la caduta del muro di Berlino, con la fine del comunismo in Europa dell’est abbia contribuito alla fine delle ideologie e quindi anche delle idee di destra e di sinistra. Ma a ciò sarebbe troppo facile obiettare che proprio in Italia con quell’evento e i fatti di “Mani pulite” è rinata la destra, divenendo addirittura forza di governo e ponendo fine alla finzione del cosiddetto "Arco costituzionale", che aveva congelato la politica del nostro paese dando al centro e alla D.C., con il consociativismo con il P.C.I., il ruolo di dominus politico. Altri ancora, come F. Tessitore, parlano di accanimento terapeutico nel voler mantenere in vita la diarchia destra-sinistra , concezione basata su un errore metodologico, cioè dal volere sintetizzare in due astrazioni concettuali la ricca e variegata concretezza della storia.
Ma la ricerca di definizioni diventa imbarazzante quando capita come è accaduto a me qualche tempo fa di vedere in Tv degli emeriti professori dibattere se Pasolini sia di destra o D’annunzio di sinistra, polemica che ha poi contagiato anche improvvisati interlocutori che hanno rilanciato chiedendosi se anche Topolino fosse di destra e Paperino no.
In realtà le categorie di destra e sinistra hanno assunto significati e valenze diverse nel tempo e nello spazio. Acquisendo spesso medesimi contenuti ma con sfumature diverse a secondo del loro realizzarsi nella storia. Impossibile quindi parlare della destra senza parlare di fatto di una destra specifica.
Cosa che farò senza altro, parlando del mio personale percorso politico.
In gioventù, fui abbaiato da quelli che sono gli errori tipici di quell’età, la fiducia nella bontà del prossimo, il credere che la razionalità fosse la base delle scelte fatte in ambito sociale, economico e politico, leggere ed avere come riferimenti pensatori del passato come Rousseau e Platone. E potrei continuare quasi all’infinito nell’elencare gli errori della mia giovinezza. Con l’età della maturità, se mai l’ho raggiunta, invece mi sono avvicinato al pragmatismo americano, al liberalismo anglosassone, a Cartesio con “il suo discorso sul metodo”, ma soprattutto a Edmund Burke e Thomas Hobbes. Alla fine ho dovuto ammettere con Adam Smith che ciò che fa girare il mondo è in massima parte “ l’interesse” del singolo. E che come diceva Hobbes “homo homini lupus”. Il pensatore inglese, che aveva sotto gli occhi gli orrori della guerra civile inglese, nel suo Leviathan, pone le basi del pensiero di destra nel momento in cui nega l’esistenza di diritti naturali e invece afferma che lo stato naturale dell’uomo è il bellum omnium contra omnes. Esattamente il contrario del buon Rousseau che, invece, descrive la degenerazione dell'umanità da un primitivo stato di natura, dove l’uomo è naturalmente buono, il cosiddetto “buon selvaggio”, sino alla società moderna, corruttrice e pervertitrice. Le basi del contratto sociale, quindi, sono diverse, anche se poi tendono allo stesso fine, limitare, cioè, l’arbitrio del singolo, difendere il debole dal forte. Ma se l’essenza del patto sociale è assicurare la libertà del singolo attraverso regole comuni, il fine della regola varia a secondo se vogliamo declinarlo con la categoria della destra o della sinistra. Nel primo caso parleremo di giustizia e nel secondo di uguaglianza. Infatti se nella concezione roussoniana tutti gli uomini nascono con uguali diritti, che sono quelli naturali, in quella dei pensatori di destra, o almeno di quelli che preferisco, ciò non è vero. Gli uomini nascono diversi, non solo nel genere, maschile e femminile, il ché è scontato, ma anche per doti naturali. Vi sarà sempre chi avrà una maggiore prestanza fisica e chi invece sarà dotato di maggiore acume ed intelligenza, chi sarà più abile e chi meno, per cui trattare casi simili in modo uguale non è giusto, ma è necessario dare a ciascuno quello “spazio” che gli permetta di sviluppare le proprie “doti”. Ciò nel convincimento che alla fine a beneficiarne ne sarà l’intero corpo sociale. L’uguaglianza non è quindi un principio, come avviene nel pensiero di sinistra, ma un mezzo per assicurare a tutti uguali basi di partenza. Si parla allora nel pensiero giuridico e costituzionale liberale di uguaglianza formale. Cioè che tutti i cittadini sono eguali dinanzi alla legge, ma è chiaro che poi lo Stato deve anche tutelare la libertà dell’individuo, unico vero principio per l’uomo di destra, agendo con giustizia. La giustizia diventa allora, oltre che rispetto per le particolarità di ciascuno, anche ricerca di un equilibrio interno alla società eliminando quelle disparità che derivano dal privilegio. Privilegio che appunto non si coniuga con giustizia , che significa equilibrio e trova nella simbologia della bilancia proprio una delle sue massime espressioni. Certo parte della critica di sinistra, come nel caso di Norberto Bobbio, ha voluto vedere l’essenza della destra nell’ ”ineguaglianza”, mentre la sinistra sarebbe , invece spinta egualitaria, vocazione a ridurre le distanze, redistribuzione tendenziale delle opportunità. In realtà, Bobbio stesso chiarisce, poi, meglio il senso di quanto dice quando afferma che “la destra è inegualitaria non per prava intenzione” e quindi prescindendo da un giudizio morale “ma perché ritiene che le disuguaglianze tra gli uomini non solo non siano ineliminabili o siano eliminabili solo soffocando la Libertà, ma siano anche utili, in quanto promuovono l’incessante lotta per il miglioramento della società”.
A questo punto cadremmo ancora nella trappola delle chimere, destra e sinistra, se riducessimo l’essenza della dicotoma a “diseguaglianza e uguaglianza” come vuole Bobbio o “libertà e uguaglianza” come invece indica Nicola Matteucci in aspra polemica col primo.
Come sappiamo l’origine del nome della diarchia deriva dall’assetto che assunse l’assemblea nazionale francese nel 1789 quando a destra del presidente presero posto coloro che volevano la conservazione della monarchia e a sinistra coloro che, invece, volevano un nuovo assetto sociale e politico del paese.
Potremmo anche dire che allora la distinzione aveva un suo significato storico concreto. Sicuramente chi sedeva alla destra, poteva essere considerato un conservatore, ma guai a pensare che la distinzione fosse tra chi volesse il mantenimento dei privilegi sociali ed economici dell’Ancien regime e chi ne voleva invece l’abrogazione. Potremmo allora obiettare, che chi sedeva a sinistra volesse solo spostare il centro del potere dall’aristocrazia al nuovo ceto rampante, la borghesia. Sicuramente fu anche ciò, ma non fu solo ciò. Furono due visione opposte della società, della storia e del mondo che si confrontarono.
Non a caso la rivoluzione francese trovò uno dei suoi massimi critici in Edmund Burke, detto il Cicerone britannico, statista e pensatore inglese che scoprì nei miei studi universitari e che da allora è divenuto una delle mie icone di riferimento. Famoso per il suo sostegno alla lotta condotta dalle colonie americane contro re Giorgio III, che poi sfociò nella Guerra d'indipendenza americana, come anche per la sua decisa opposizione alla Rivoluzione francese. Ed è proprio in quest’apparente contraddizione del Burke, che troviamo alcuni dei più importanti contenuti della destra. Burke, come ho detto pocanzi, criticò aspramente la rivoluzione francese con la sua opera “Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia”, destando non poco clamore proprio per l’appoggio dato in parlamento alle ragioni dei coloni americani. Ma quest’apparente contraddizione va compresa nella diversa natura delle due rivoluzioni. Quella americana si muoveva nel solco della tradizione e della storia inglese, rivendicava diritti che lì trovavano fondamento storico e culturale. Quella francese, invece si originava da un pensiero razionalista, astratto in teoria e rivoluzionario nella pratica, e quindi su basi artificiose e per questo arbitrarie e senza contenuti concreti, tutto ciò a partire dagli stessi diritti dell’uomo. Per Burke, quindi, una classe dirigente vera fa affidamento sulla pratica piuttosto che sulle teorie astratte, in quanto giudica l’esperienza preferibile alla pura ipotesi.
Ai diritti naturali, alle costruzioni istituzionali e sociali della rivoluzione francese Burke contrappone il farsi della storia. Egli dice che ogni società è ciò che è per il suo retaggio storico. Egli dice che le istituzioni, l’ordine sociale ed economico, i diritti sono il frutto del farsi della storia e sono il “carattere ereditario”, dunque persistente e continuativo, di un sano sistema costituzionale che il saggio statista deve preoccuparsi di preservare da deleteri ed inutili moti rivoluzionari. Quindi le richieste degli americani alla Corona e la loro successiva rivoluzione si fondavano su principi, conquiste proprie della società inglese, dall’ habeas corpus al no taxation without the rappresentation. I diritti e le costituzioni francesi, invece, su costruzioni astratte e senza basi storiche.
Ciò non è bieco conservatorismo ma costruire le basi di una società su solide fondamenta che sono la propria storia, le proprie tradizioni. Ecco allora un altro tema caro alla destra. Chi mantiene viva la tradizione è un conservatore e altresì un riformista, in quanto opera affinché sulle fondamenta delle leggi antiche siano innestate riforme che ne rinvigoriscono la forma, mantenendone però inalterata la sostanza. Conservare non vuol dire quindi cristallizzare, ma al contrario riformare in uno spirito di continuità. In ragione di ciò non si è mai vecchi per le tradizioni conservate né mai nuovi per i progressi conseguiti. Quindi un sano pragmatismo che si fonda su quanto di buono e valido ci è stato tramandato dai padri, che trova la sua validità proprio nella sua durata, senza però essere chiusi al nuovo, adattando ai tempi moderni il lascito che ci viene dalla storia e avendo anche il coraggio di lasciare indietro quanto non più funzionale ed adatto alla modernità. Quindi rispetto del passato e non esperimentare nuove forme e nuovi contenuti che non hanno alcun legame col nostro essere, ma che sono frutto solo di elaborazioni razionalistiche e teoriche.
E tocchiamo quindi quello che è un altro punto di differenza tra la destra e la sinistra. La sinistra da sempre è il luogo di “Utopia”, anche quando si definisce come via scientifica al socialismo. La sinistra è alla ricerca continua di un Eden, che finisce per concludersi inesorabilmente in un Inferno in terra, anzi dicendola con le parole di Joseph De Maistre: la storia diventa un immenso "mattatoio" quand’è affidata alla sola ragione umana. L’utopia, quindi, come elemento caratterizzante della sinistra da Platone a Marx. Il tentativo di costruire su basi teoriche ed astratte la società perfetta. Utopia, allora, come luogo che non c’è, anche se ben sappiamo che nel suo significato originale essa assume quello di luogo che ancora non esiste. La sinistra volge il suo sguardo al futuro nel tentativo di costruire una società perfetta che ancora non esiste, la destra, invece, guarda al lascito dei padri adattandolo ai tempi moderni. Passato che l’uomo di destra mitizza. Per lui un popolo per avere dignità di se stesso, come dice Burke, deve professare un culto “religioso” della memoria. Perché chi non ha passato è destinato a non avere un futuro. Quindi il mito della Patria, come terra dei Padri, il mito della tradizione, il mito della legge e dell’uomo forte. Semplificando: il mito contro l’utopia. Ma guardate bene quando parlo di uomo forte io mi ricollego all’etimologia latina, dove ad “homo” si contrappone “vir”, da cui uomo virtuoso e/o forte. Ed è proprio a questa eccezione che si ricollega Burke quando afferma che se la felicità è fondata sulla virtù, essa può conseguirsi in qualsiasi condizione sociale. In ciò risiede infatti la Vera Uguaglianza. Contrapponendola a quella livellatrice dei rivoluzionari francesi, che rende invece soltanto più amara la reale e insopprimibile disuguaglianza che è propria di un sistema di vita civile.
E qui comincia a delinearsi anche l’etica sociale della destra. Dove il rispetto delle regole comuni, delle istituzioni si fonda proprio sulla comprensione di un lascito comune di chi ci ha preceduto. Dove lo Stato è come dice Burke «un'associazione non solo tra i vivi, ma anche tra i vivi e i morti e tutti coloro che nasceranno in futuro». Si forma quindi un concetto di ordine non come creazione volontaria ed arbitraria dell'uomo, ma come frutto della ricerca di principi costanti e duraturi che la nostra civiltà ha elaborato lungo il corso dei millenni, allo scopo di garantire ai consociati la Giustizia, secondo la massima “suum cuique tribuere” (a ciascuno il suo) e conformemente all'ordine naturale delle cose. Da qui ne scaturiscono altre conseguenze come quello di anteporre il concetto di comunità a quello di società. Cioè un’aggregazione di uomini e donne uniti da comuni radici, valori, idee contro quella fondata su un semplice patto di associazione. Una concezione quindi non materialistica, non utilitaristica o funzionale, ma profondamente etica e metastorica. Dove valori e beni trascendenti , come la solidarietà tra uomini e generazioni, superano e sovrabbondano il semplice patto sociale basato sulla comune utilità reciproca. La società, prima di essere una realtà politica o economica, è una realtà culturale, il sociale [...] è quel complesso di credenze, di miti, di valori, di norme, di aspettative che operano nell’individuo, ma che non sono, propriamente parlando, dell’individuo, bensì della collettività anonima: sono di tutti e di nessuno e costituiscono il quadro istituzionale entro cui si svolgono le relazioni sociali".Si tratta di un principio antichissimo, fatto proprio dai conservatori di ogni epoca, fino a John Adams, il quale lo definì come “Golden rule”.
Ma da ciò ne discende anche un’altra concezione dei rapporti sociali non basati sul concetto di lotta di classe, di contrapposizione tra parti del corpo sociale ma di collaborazione proprio come avviene nel corpo umano dove le diverse parti, i diversi organi collaborano tra loro per il ben comune. Concetto questo proprio della dottrina sociale della Chiesa come anche della destra sociale italiana e di quella conservatrice americana.
Da qui potremmo ancora continuare toccando svariatissimi temi e aspetti patrimonio comune delle destre o addentrarci nelle loro specifiche peculiarità ma come disse Edmund Burke “c'è tuttavia un limite oltre il quale la pazienza cessa di essere una virtù”, e non vorrei trovare il limite di chi mi ascolta. Per questo mi avvio a concludere sintetizzando che
la destra è giustizia,
la destra è solidarietà,
la destra è tradizione,
la destra è comunità,
la destra è mito,
la destra è virtù,
o meglio come disse Giorgio Almirante:
“la destra o è coraggio o non è, è libertà o non è, è nazione o non è, così vi dico adesso,
la destra o è Europa o non è. E vi dico qualcosa di più: l’Europa o va a destra o non si fa”
Questa è la mia destra.
Complimenti Enzo. Grande intervento.
RispondiEliminaMi dispiace non aver ascoltato queste parole dalla tua bocca.
Grazie!
RispondiEliminaMa anche il Borghese non è stato da meno.
Impegni familiari?
Di nuovo grazie.
io invece ero presente e mi complimento nuovamente per la tua approfondita relazione, ricca di particolari politici ma anche storici e filosofici, ed esposta in maniera egregia.
RispondiEliminaANNA KATIA
Amma Katia grazie di nuovo. Anche per le foto della manifestazione che ci hai gentilmente inviato. Invito quei pochissimi che ci leggono a visitare il sito di Azzurro Donne curato da Elena ed Anna Katia.
RispondiEliminahttp://azzurrodonnacilento.blogspot.com/
Il suo percorso formativo è comune a molte persone che conosco, Hobbes, l'avversione per l'illuminismo francese, l'associazione dell'uguaglianza col piattume, il mito della tradizione et cetera. Il suo articolo è ben scritto comunque, e mi permette ora di approfondire il discorso su temi di principio.
RispondiEliminaLei sostiene che gli uomini nascono diversi per doti naturali, e ciò è peraltro vero, ma oggi ancora non sappiamo dire con certezza in che misura ciò accada. Nel cervello umano vi sono circa 500 mila miliardi di connessioni neuronali, questi sono i substrati anatomici delle nostre associazioni mentali, delle nostre funzioni simboliche, del nostro apprendimento, della nostra individualità, e sono tutte, integralmente e completamente plasmate dall'esperienza; la genetica fornisce solo un orientamento preferenziale e una generica efficienza funzionale. Tutti i comportamenti umani sono miltufattoriali, cioè presentano una componente genetica e una ambientale, ma quest'ultima è decisamente preponderante, come dimostrano studi condotti su bambini di un orfanotrofio con deprivazione sensoriale (sempre chiusi in culle che precludevano la vista), i quali sviluppavano ritardo mentale e iniziavano a parlare a 4 anni.
Lei afferma con Hobbes "homo, homini lupus", ma poi scrive che un saggio statista deve preservare un sano sistema costituzionale da deleteri e inutili moti rivoluzionari; io sono d'accordo con Hobbes, e proprio per questo (e millenni di storia lo confermano) ritengo che la sola esistenza di un "saggio statista" sia una leggenda. In una vera democrazia, come la intendo io e come ne sono esistite (fronte repubblicano spagnolo, Kibbutz israeliani, comune di Kronstadt, comune di Parigi, comune di Shangai), la gerarchia è ridotta al minimo, per evitare che i lupi mangino gli agnelli. Questo è ordine
Ho riletto con attenzione la sua dissertazione sui valori tradizionali, e fondamentalmente l'unico motivo della loro validità che lei gli riscontra è la "durata". Molto bene, quello della cultura e dell'insieme di abitudini di una popolazione è un tema molto affascinante, peccato che l'abbia trattato con un po' di leggerezza. Richard Dawkins, un biologo evoluzionista, ha creato nel 1976 una nuova disciplina, la memetica; questo studioso sostiene che tutti i dati e le informazioni trasmettibili da un essere vivente a un altro (i memi) sono soggetti alle stesse modificazioni casuali e alle stesse leggi evolutive dei geni. I meni e i geni si replicano per poter essere tramandati, ma sono ben lungi dall'essere compiuti, sono l'espressione di una maggiore sopravvivenza in una determinata nicchia biologica o sociale, ma l'evoluzione non è perfezione. Fortunatamente i memi, al contrario dei geni, possiamo scegliere in parte di modificarli, motivo per il quale scrivo questa lunga risposta.
Successivamente scrive che la "Vera Uguaglianza" risiederebbe nel coltivare la virtù e nel vivere felici, e credo che qui io e lei raggiungiamo un acme di distanza concettuale. La "destra" per me ha una visione della giustizia sociale che non va oltre la carità e l'elemosina, l'uguaglianza è "da ognuno secondo le proprie possibilità, a ognuno secondo i propri bisogni", per me l'unico comandamento che può evitare le orrende sperequazioni del benessere che abbiamo oggi.
RispondiEliminaLei conclude che la società dovrebbe funzionare come il corpo umano, in cui le parti collaborano tra di loro. Anche in questo caso il buon vecchio "homo homini lupus" pare accantonato, le assicuro infatti che nel corpo umano il cervello e il cuore non cercano di ingrossarsi mangiando le altre componenti, come fanno i "saggi statisti". La lotta di classe non è un vezzo di operai scalmanati, nè la masturbazione intellettuale di un filosofo con la barba, è un fenomeno naturale, Hobbesiano, il pensatore marxista è come un Newton che scrive la legge di gravitazione universale guardando la mela cadere dall'albero.
Vi sono molti altri punti che vorrei approfondire, ma aspetto una sua graditissima risposta per farlo. Una conclusione però possiamo tracciarla, le categoria destra e sinistra hanno enormi difetti, ma almeno permettono di individuare grossolanamente delle palesi differenze identitarie come le nostre.
A. Pepe