mercoledì 14 agosto 2019

LA MADONNA DEL GRANATO (ISIDE, HERA) E LE SUE SEI SORELLE.





Quello della Madonna del Granato è il culto che unisce tutti i Capacciopestani al di là dei campanilismi contradaioli.
È un culto antichissimo in cui non pochi studiosi hanno visto una continuità con quello di Hera Argiva, una delle principali divinità venerate nell'antichità classica a Poseidonia/Paestum.

In realtà parrebbe che questa ipotesi si fondi su presupposti erronei.

A trarre in inganno gli studiosi sarebbe stata la somiglianza tra le raffigurazioni poseidoniate di Hera con quella dell'attuale Madonna venerata nel santuario mariano sul Monte Calpazio.
Entrambe infatti parrebbero rappresentate con una melagrana in una mano.
Ipotesi suggestiva che però è smentita da quanto sappiamo storicamente.

Già Vincenzo Rubini nel suo studio "La Madonna con la melagrana nel Santuario di Capaccio Vecchia" mise in dubbio tale ipotesi evidenziando come l'attuale statua della Madonna del Granato sia una copia di un originale quattrocentesco, forse di scuola senese (1).
Probabilmente precedentemente dovette essere al centro del culto Mariano sul Monte Calpazio la statua di fattura medioevale detta dai Capaccesi “a Maronna ri muschilli”, oggi perduta.
In essa non vi è alcuna melagrana.
Anzi il titolo con cui la chiesa sul Monte Calpazio è citata nel periodo medioevale è quello di “Santa Maria Maggiore sul Calpazio”.



Se, quindi, non vi è a Capaccio una continuità nelle raffigurazioni e di culto tra la Madonna del Granato ed Hera, è anche vero che quella che appare come una melagrana nelle stesse raffigurazioni dell'Hera pestana potrebbe non esserlo.
È il dubbio di Marina Cipriani, storica ex direttrice del Museo e degli Scavi di Paestum, che vi intravede piuttosto una mela.
Dubbio non tanto peregrino se pensiamo che l'albero dalle mele d'oro del Giardino delle Esperidi era il dono che, Gaia, la madre terra, fece ad Hera in occasione delle sue nozze con Zeus.
 

La Madonna della melagrana di Jacopo della Quercia, inizi quattrocento.


La Madonna con la melagrana di Lucera, metà XIV secolo.


La Madonna "ri muschilli"


L'antica Madonna venerata a Capaccio Vecchia è una Madonna assunta in cielo come Regina Coeli, posta a capo della  comunione dei Santi e delle gerarchie angeliche e  come tale la prima mediatrice ed interceditrice di ogni grazia a favore di ogni creatura.   
La Madonna di Capaccio Vecchia, quindi, per come è rappresenta, seduta in trono e con Gesù Bambino in braccio, è assimilabile, facendo un parallelo con l'iconografia pittorica cristiana, ad una Madonna in Maestà.

È in questo suo aspetto che trova spiegazione il simbolismo della melagrana.
In genere la melagrana è ridotta ad un generico simbolo della vita, di fertilità, produttività e ricchezza.
In realtà si tratta di una generalizzazione, tipica dell'approccio al simbolo della modernità, che non tiene presente che questo assume significati e sfumature diverse non solo in ogni cultura e civiltà, ma in queste varia nel tempo e dal contesto.

Sulla Madonna di Capaccio Vecchio abbiamo già detto qualcosa precedentemente descrivendola come Regina Coeli. Non a caso Gesù è rappresentato alla sinistra di Maria (che è la destra del "Figlio") in piedi ed in atto benedicente verso la madre.
Ciò perché il Cristo è colui per mezzo di cui tutto è stato fatto (come nel prologo del Vangelo di S. Giovanni), è il Logos, creatore e sovrano del Mondo (il creato), ma è anche ipostaticamente uomo nato da Maria, che fa di questa donna non toccata dal peccato (immacolata concezione) madre del Re del Mondo e quindi "Regina" del Cielo e della Terra.

Ma sono l'abito dorato e la melagrana che chiariscono il ruolo di questa madre e regina.

La veste d'oro della Madonna del Granato non è semplicemente un riferimento alla sua regalità, come spesso ingenui commentatori errando affermano, ma un esplicito riferimento alla "donna vestita di sole" dell'Apocalisse di Giovanni (Ap. 12), che nient'altri è, nell'interpretazione medievale, che la Madonna, che, come "seconda Eva", è destinata a "schiacciare il capo" del serpente (Genesi 3,15).





Ma è la melagrana nella mano della Vergine (nel nostro caso come parte qualificante di uno scettro) ad indicarci un "qualcosa che è nelle sue mani", cioè in suo potere, ed a chiarirci meglio lo scopo e la funzione della sua " regalità". 

È la particolarità della melagrana a rivelarci quale sia il suo significato simbolico in tale contesto.

La presenza di una pluralità di semi, però uniti tra loro nel frutto e come tali mostrati in una apertura nel guscio, richiama uno specifico significato: quello dell'unità di una moltitudine, cioè l'unità dei cristiani nel corpo mistico di Cristo ed alla comunione dei Santi.
Tale concetto è espresso nella tradizione cristiana sotto diverse forme: "il tralcio e la vite" nel Vangelo di Giovanni (15, 1-8) o in San Paolo come "corpo e membra" nella I Lettera ai Corinzi (12- 27).
È così sottolineato il ruolo della Madonna quale mediatrice ed elargitrice della "grazia", in quanto Madre di Gesù e quindi partecipe della dignità regale di Cristo, ma anche del suo influsso vivificante e santificante sui membri del Corpo Mistico.

Così pare che torto non avesse mons. Giuseppe Rocco Favale, già Vescovo di Vallo, quando nel 1992 in occasione della cerimonia di elevazione del Chiesa della Madonna del Granato a "santuario mariano diocesano", indicò questa Madonna come "delle Grazie".

Le Madonne in Maestà sono legate spesso al patronato della Vergine sulla città ed eseguite in connessione con eventi traumatici (battaglie, pestilenze ecc.).
Particolare questo molto interessante perché l'originale dell'attuale statua lignea della Madonna del Granato era quattrocentesca, periodo assai travagliato per la comunità capaccese di allora, che aveva visto diverse guerre, carestie ed epidemie avvicendarsi.
Difatti San Vito sarà elevato a Patrono di Capaccio solo nel 1708 ad opera del vescovo Francesco Paolo Nicolai in concomitanza dei restauri, da lui promossi, della antica cattedrale.
È possibile, quindi, ipotizzare che anticamente protettrice e patrona dell'antica città di Capaccio fosse la Madonna e per questo ad essa fosse dedicata la più importante chiesa cittadina, cioè la cattedrale.

Altro aspetto caratterizzante la nostra Madonna è la particolare posizione del presunto pomo di melograno, che non è tenuto nel palmo della mano o fra le dita, come avviene con le altre Madonne col granato, ma all'apice di quello che appare come uno scettro che stringe nella mano destra.
In tal senso tale rappresentazione anche se particolare potrebbe essere coerente con quella di una Madonna in Maestà, e quindi regina, con gli attributi della sua regalità, il Cristo bambino, che ne è la fonte, e lo scettro da sempre insegna del potere dei sovrani.

In realtà in passato si è obiettato che lo "scettro" fosse frutto di una non fedele riproduzione nell'attuale copia moderna dell'originale quattrocentesco andato distrutta in un incendio ad inizio novecento oppure ad una aggiunta postuma. Ma una ricognizione delle foto di inizio secolo scorso e di una stampa del 1796 paiono smentire queste tesi.
Questa peculiarità della Madonna di Capaccio Vecchia darebbe spazio ad interessanti suggestioni ed ipotesi, che però in questa sede preferisco non affrontare.



Madonna della Mazza (sec. XII-XIII), Pretorio (CH). 



Madonna in trono con il Bambino realizzata tra gli ultimi decenni del XII e gli inizi del XIII secolo da un maestro abruzzese. Castelli (Teramo), chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista


La Madonna del Granato è festeggiata da tempo immemorabile il 15 agosto, giorno in cui la liturgia cristiana celebra l'Assunzione di Maria in Cielo.
Anche se il dogma dell'assunzione di Maria in Cielo è recente (2), il culto è antichissimo (3).

Una delle caratteristiche delle celebrazioni della Madonna del Granato è la processione delle “cente”, espressione di una religiosità popolare diffusa nell'intero Cilento. Queste sono delle offerte votive in vimini o in legno leggero a forma di barche (ma anche quadrate o rotonde) con delle candele disposte l’una accanto all’altra, con nastri multicolori, fiori ed immagini sacre.
Proprio la forma a barca delle cente ha fatto ipotizzare alcuni studiosi che esse siano un retaggio dell’antico “Navigium Isidis”, un rito isiaco nel quale si riempiva una barca di fiori e offerte a Iside.

La processione delle cente a Capaccio Vecchia 


Si potrebbe così ipotizzare, ma con un sano dubbio, che si tratti di una forma della religiosità antica transitata nella cristianità e diffusasi successivamente nel culto mariano come sincretismo di forme ed usi pagani che i cristiani dei primi secoli praticarono per assimilarle.

Dice infatti il Frazier:
“ ...L'Egitto può aver contribuito al suntuoso simbolismo della Chiesa cattolica, come ne contribuì alle pallide astrazioni della teologia. Certo nell'arte la figura di Iside col bimbo Oro al seno somiglia talmente alla Madonna col Bambino che ha qualche volta ricevuto l'adorazione di inconsapevoli cristiani. Ed è forse a Iside, nel suo posteriore carattere di protettrice dei marinai, che la Vergine Maria deve il suo bell'epiteto di Stella maris. (4).

Ma a infittire il mistero è la leggenda delle “sette sorelle”.

“Beata quella bella Sant'Anna! 
Sette figlie, e tutte sette Madonne.”

Così recita un antico canto sulle sette Madonne sorelle, figlie di Sant'Anna e San Gioacchino.
 Il riferimento è a sette Madonne che in sette santuari diversi sono venerate secondo una tradizione non solo campana. (5)

Nelle diverse tradizioni popolari “a volte i santuari o le Madonne collegate erano posizionate anche in regioni diverse, ma a volte erano nello stesso paese o anche nella stesa chiesa.

Ognuna aveva una sua specifica collocazione e una sua caratteristica propria. I nomi, le fattezze delle statue o dei dipinti, le proprie specificità le distinguevano una dall’altra (per aiutare il parto, per il latte, per una malattia particolare, per la siccità, per la buona morte ecc.)” (6).

Nel Cilento le sette madonne sorelle sarebbero:

la Madonna del Granato a Capaccio Vecchio sul Monte Calpazio a m. 254;
la Madonna della Stella a Sessa Cilento sul M. della Stella, m. 1.131;
la Madonna della Civitella a  Moio della Civitella sul M. Civitella, m. 818;
la Madonna del Carmine a Catona sul M. del Carmine, m. 713;
la Madonna della Neve a Piaggine-Sanza sul M. Cervati, m. 1.899;
la Madonna di Pietrasanta a San Giovanni a Piro sul M. Pietrasanta, m. 528;
la Madonna del Sacro Monte a Novi Velia sul M. Gelbison o Sacro, m. 1.707.

A volte nelle diverse tradizioni popolari tra queste sette Madonne  ce n'è una "brutta", perché con la pelle scura come nel caso del Cilento quella del Sacro Monte.

In generale per le cosiddette “Madonne Nere”, taluni studiosi hanno ipotizzato una continuità storica e devozionale con il culto isiaco.

Iside ed il figlio Horus.


La Madonna nera di Rocamadour.




Si immagina, infatti, che il culto delle Madonne Nere si sia originato dal culto alla dea egizia Iside, poi assimilato nella tradizione cristiana.



Madonna di Monserrato al Castello (XVI sec.) Palermo


La Mare de Déu de Montserrat (XII sec.), Monistrol de Monteserrat


Iside era raffigurata in nero in quanto la dea rappresentava la notte che partoriva l'alba, cioè il Dio sole. Successivamente, con la diffusione del cristianesimo, alcune sue statue dovettero essere modificate per assumere i tratti di una Madonna, dando origine al culto delle Madonne Nere, che si diffuse in tutta la cristianità.

Vi è dunque un nesso tra il culto di Iside, le Madonne Nere, le cente, la Madonna del Monte Gelbison e quella del Granato?

Probabilmente no, ma è un'ipotesi interessante e suggestiva sulla quale indagare, anche se il culto di Iside è storicamente attestato in tutta la Campania in epoca ellenistica e romana e forse secondo alcune ipotesi anche nella nostra Paestum. (7)





L'abside del Santuario della Madonna del Granato (anni '70).





Note:
(1) L'originale statua quattrocentesca fu distrutta in un incendio ad inizio novecento. Quella attualmente ne è una fedele copia.

(2) La Chiesa cattolica l'ha riconosciuta come dogma della fede nel 1950 con Pio XII con la costituzione apostolica Munificentissimus Deus: “la Vergine Maria completato il corso della sua vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo".

(3)  Le origini della festa dell’Assunzione (Dormitio Mariae) si trovano in Oriente, nella metà del VI sec., come risulta dalla narrazione dei pellegrini che hanno visitato Gerusalemme in quegli anni. Verso la fine del VII, l’imperatore Maurizio estende la festa a tutte le regioni dell’Impero, fissandola al 15 agosto.
 In Occidente, i primi segni di una festa “in memoria” della Vergine appaiono nel VI secolo, precisamente nella Gallia, dove viene celebrata il 18 gennaio sotto il titolo di Depositio Sanctae Mariae.
A Roma la celebrazione della festa dell’Assunzione viene introdotta nel VII secolo da papa Sergio I, assieme ad altre feste mariane: la Purificazione, l’Annunciazione e la Natività; e ben presto diviene anche la più importante di tutte, conservando fin dalle origini sia il nome sia il significato attuali.
Da Roma poi si estende rapidamente, durante i secoli VIII e IX, a tutto l’Occidente, anche nella Gallia, precisando il contenuto e stabilendo la data della festa al 15 di agosto.

(4)  J. G. Frazer, Il ramo d'oro, pag. 603, vol. 2, Boringhieri, 1973.

(5)  Abbiamo ad esempio le sette sorelle del Gargano: Tremiti, Rodi (Madonna della Libera), a Vieste ( Madonna di Merino), Mattinata (Madonna della Luce), a Manfredonia (Madonna di Siponto), Rignano (Madonna di Cristo) e a San Marco in Lamis (Madonna di Stignano).
Le sette sorelle campane: la Madonna dell'arco di Sant'Anastasia, la Madonna Pacchiana di Castello di Somma Vesuviana, la Madonna delle Galline di Pagani, la Madonna dei Bagni di Scafati, la Madonna dell'Avvocata di Maiori, la Madonna di Materdomini di Nocera Superiore, la Madonna di Montevergine in provincia di Avellino.
Ma vi sono numerose altre sette sorelle: le sette sorelle madonne di Capitanata, le sette sorelle madonne incoronate del Foggiano, le Madonne sorelle coronate nella transumanza ed altre.

(6)  Gabriele Tardio , Le leggende delle Sette Madonne Sorelle, pag 4,

(7) In una lastra di marmo bianco ritrovata nel 1965 sul lato ovest del Tempio di Cerere, conservata presso il Museo di Paestum, vi è un' iscrizione che celebra il restauro del Tempio di Iside e dei suoi porticati da parte di una donna della Gens Laureia.
È  la prima menzione di un santuario della dea egiziana a Paestum.
L' epigrafe è datata alla fine II secolo o inizio III secolo dopo Cristo.
Fonte: M. Mello e G. Voza, Le iscrizioni latine di Paestum.

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