giovedì 3 dicembre 2020

CAPACCIO: UN'ANTICA CHIESA MEDIEVALE DIMENTICATA E RITROVATA.

 



Era un piccolo mistero, quello di cui oggi parliamo, anche se circoscritto tra i pochi studiosi ed appassionati della storia di Capaccio Paestum.

La chiesa di cui parliamo è quella di Velanzanu (o Belenzanu), sita sul Monte Soprano, che oggi sappiamo essere in prossimità di Capaccio Capoluogo. È una chiesa di cui la nostra comunità aveva perso memoria, tanto che gli stessi studiosi ne avevano cognizione solo attraverso antichi documenti. 

Gli stessi documenti antichi, parliamo specificatamente del Codex Diplomaticus Cavensis, non sono chiari sulla sua ubicazione. Si indica come toponimo Velanzano, o la sua variante Belenzano. Ma vi sono indicazioni forvianti come quella sempre derivante dai documenti cavensi, che ingannevolmente possono far immaginare che Belenzanu potrebbe ubicarsi a Capaccio Vecchia nei pressi della Porta de Paganigno (1).

A complicare le cose si fa menzione di una Chiesa di S. Angelo “in loco Ulmo fine Caputaquis”, che da una lettura attenta del testo di quegli atti che la manzionano pare sempre essere quella di Belenzano, anche se non è da scartare l'ipotesi che si tratti di una chiesa diversa sempre nel territorio di Capaccio.

Certamente il "fine Caputaquis" indica un distretto amministrativo più ampio dell'attuale Capaccio Paestum e quindi potrebbero essere chiese diverse, ma vi sono coincidenze che possono farci pensare che invece siano sempre la stessa. Ad esempio in un documento dell'ottobre 1053 (2) in cui la chiesa di S. Angelo e indicata essere in località "Ulmo" ed in un altro del marzo 1053 (3) in cui invece lo è in Benanzana, entrambe le chiese sono nella disponibilità della famiglia di Pandolfo e Teodora (e figli), cioè la famiglia dei signori di Caputaquis, ma addirittura, l' "Abbas" (l'abate) è sempre lo stesso chierico, cioè Johannes.

Ma una indicazione chiarificatrice sulla sua ubicazione ce la dà Giuseppe Bamonte.

 Nell'appendice a “Le Antichità Pestane” fa riferimento ad un “inventario delle cose, dei beni e giurisdizioni della Chiesa Cattedrale di Capaccio sotto il titolo di S. Maria Maggiore”, cioè quella che noi chiamiamo Madonna del Granato, che si iniziò a compilare nel 1492, dove si fa riferimento a delle “Chiese non curate, ma beneficiate” nel territorio di Capaccio. Tra queste si cita espressamente la “Chiesa di S. Arcangelo posta sopra Rodigliano” (4).

Indicazione importante, perchè è stata utile nella probabile individuazione di tale antica chiesa avvenuta assolutamente grazie ad un puro caso.

Galeotto fu, direbbe Dante, un post su Facebook di Mario Tambasco. Si tratta di un video di una delle sue passeggiate sulle nostre colline con l'amico Angelo Fasano. Vi è mostrata un grotta con tracce di fabbrica in muratura. Pochi ruderi che hanno fatto pensare all'avv. Tambasco ad una sua utilizzazione umana antica ed imprecisata, forse abitativa.



Ma è la localizzazione della grotta a darci un ulteriore indizio chiarificatore: è posta proprio sopra Rodigliano! 

Proprio come l'indicazione che troviamo nel libro del Bamonte.

Già il compianto “don” Vincenzo Rubini, profondo conoscitore della storia medievale di Capaccio e memoria di tante tradizioni e storie orali ormai perdute, nelle appassionate discussioni che facevamo ogni qualvolta lo andavo a trovare, descriveva la “Chiesa di Sant'Angelo” come rupestre e prossima al Capoluogo. Non avendo allora una profonda conoscenza dei luoghi, le sue precise indicazioni mi sfuggivano. Oggi invece la sue parole acquistano un senso.

Particolare importante per capire il perché questa chiesa è edificata in una grotta su una costa della montagna è, in questo caso, la speciale venerazione che i Longobardi ebbero per l'Arcangelo Michele.

I Longobardi furono un popolo guerriero e in questo arcangelo intravidero quelle virtù proprie che nel loro passato pagano erano incarnate dalle antiche divinità germaniche. 

Numerosi furono, dunque, i santuari dedicati a S. Michele in tutta la Longobardia, come non pochi sono ancora oggi quelli sopravvissuti al passare del tempo in provincia di Salerno come quello di Olevano sul Tusciano o di Sant'Angelo a Fasanella.

Interessante è anche un altro aspetto e cioè che particolare venerazione, anche se in tono minore, la ebbero fra i Longobardi anche San Giorgio e San Giovanni Battista, santi che ritroviamo, secondo le testimonianze di antichi documenti, con chiese a loro dedicate proprio a Rodigliano (5) o “Rigliano” come i Capaccesi nel loro dialetto ancora oggi chiamano questa località. Cosa che potrebbe farci ipotizzare che vi fosse un complesso santuariale d'importanza locale.



I santuari micaelici sono in genere sempre situati su luoghi elevati (colline o montagne) e spesso in grotte, come nel caso di quello capaccese. 

Si è discusso in passato tra gli storici se questi santuari fossero sempre connessi alla presenza di monaci eremiti, cosa di cui in taluni casi abbiamo tracce, anche se oggi piuttosto si è propensi a credere che non sia stato sempre così. Non mancano infatti esempi tra questi santuari che suggeriscono invece che possano trattarsi per lo più, di piccoli santuari meta di pellegrinaggi locali o di luoghi di culto a vocazione funeraria e privata. Aspetti questi che diverranno chiari nel momento in cui approfondiremo i documenti cavensi relativi alla Chiesa di Sant'Angelo di Capaccio.




Il primo documento certo (7) che fa menzione della Chiesa di Sant'Angelo è del marzo 1053 (8).

In questo documento Teodora, figlia di Gregorio di Tuscolo (9) e moglie di Pandolfo (10), signore di Capaccio, con i figli Gregorio, Guidone e Giovanni concedono al presbitero Giovanni, “abbas ecclesie vocabulum sancti angeli... in locum qui dicitur velanzanu, finibus caput aquis” tutta serie di accessori per le funzioni religiose oltre che animali e beni a servizio della chiesa e della comunità di monaci, che intorno a quella chiesa si raccoglieva (11).

I signori di Caputaquis dotano poi la chiesa anche di un patrimonio fondiario fatto di vigne, meleti e terre coltivabili (12).

Inoltre è fatto obbligo di officiare i sacri riti sia di giorno che di notte.



La nostra chiesa ricompare con sicurezza in un altro documento del luglio 1068, dove Orso e Pietro e le rispettive mogli, Fresa e Laita, donano tutti i loro beni in “loco qui Lauri dicitur et per toto locoqui Murtitu dicitur” alla “ecclesia Sancti Michaelis Archangeli, que sita esse videtur in locum Benanza[n]a, actus Caputaquis” (13).

È, credo, la prima menzione del Lauro, storico “pizzo” di Capaccio Capoluogo.

In questo documento i donanti mantengono però per sé ed i propri eredi l'usufrutto di tali bene in cambio di un pagamento annuo di otto tarì d'oro alla chiesa.

L'usanza di donare ad un ente ecclesiastico conservando per sé l'usufrutto in cambio di un censo annuo, era tipica del tempo e la ritroviamo spesso negli atti raccolti nel codice cavense.

La Chiesa di S. Angelo di Capaccio, quale entità autonoma, cessa di esistere nel 1092, quando Gregorio, in rappresentanza di tutta la famiglia dei signori di Caputaquis, la dona alla Chiesa di San Nicola di Casavetere con tutte le sue pertinenze, insieme ad altre chiese (o quote di queste) poste in una vasta area tra Salerno, Trentinara, Brienza, Corleto e Capaccio. Chiesa, è bene precisare, anche questa di proprietà dei signori di Capaccio. 



Difatti essi concentrarono questo vasto patrimonio, costituito da chiese e quote di chiese proprietarie di numerosi beni di diversa natura, in un'unica entità patrimoniale, quella legata alla chiesa di “Sancti Nikolai”. Ma questa non fu soltanto un'operazione di razionalizzazione patrimoniale, fu anche e soprattutto di natura politica. La chiesa di S. Nicola divenne il baluardo patrimoniale, religioso e identitario dei signori di Capaccio, simbolo con il castello del loro potere e prestigio.

La chiesa sorgeva proprio “suptus et prope castellum quod Caputaquis dicitur”, cioè in una località, prossima a Capodifiume, ai piedi della collina costeggiata dalla SP318, detta già allora “Casavetere di Capaccio”.

La memoria di questa chiesa è rimasta nella tradizione popolare nel nome di una fontana, da cui sgorgava acqua sorgiva, detta per l'appunto di " San Nicola". Fontana caratteristica perché la vasca è costituita da un antico sarcofago in pietra risalente probabilmente al V o al VI secolo dopo Cristo. 




Se questa antica fontana, citata anche in documenti del 500, esiste ancora, anche se spostata rispetto alla sua collocazione originaria, non possiamo dire lo stesso dei resti della Chiesa di San Nicola.

Questa, siamo certi, almeno sino ad alcuni anni fa sopravviveva agli insulti del tempo e dell'uomo, nei resti dell'abside e poco altro ridotta a petraia, cioè a luogo di accumulo di pietre per liberare i campi. Purtroppo in un mio recente sopralluogo non sono riuscito ad individuarne le rovine, cosa che mi fa temere il peggio.

Anche la comunità monastica di San Nicola verrà nel tempo assorbita da un'altra più importante, quella dei benedettini dell'Abazia di Cava de' Tirreni, probabilmente verso la seconda metà dell'XII secolo, ma continuerà ancora per lungo tempo a svolgere la sua funzione religiosa, come anche di centro d'interessi economici.

Col passare del tempo di queste chiese si perse memoria, ma non traccia documentale.

Oggi, forse, abbiamo riscoperto per un caso fortuito il sito di una di essa.

Cercherò, con chi vuol aiutare, di coinvolgere nello studio di questa “grotta” anche degli storici ed archeologi professionisti, perché possano dare conferma che si tratti dell'antica Chiesa di Sant'Angelo di cui abbiamo parlato in questo scritto.

Se dovessero esserci delle conferme alla nostra ipotesi, sarebbe il caso di trovare un modo per valorizzarla, magari inserendola in un percorso di trekking che dal Capoluogo porti al Castello di Caputaquis. Percorso che chi lo ha affrontato sa essere bello ed estremamente spettacolare.



Alcuni esempi di chiese rupestri, che potrebbero aiutarci a farci un'idea di come fosse quella di "Sant'Angelo di Velanzanu": la Grotta di San Michele Arcangelo a Sant'Angelo a Fasanella, Chiesa rupestre di Monteverde (Matera), Chiesa di San Pietro a Viggiano (Potenza), Santuario rupestre di San Mauro a Capizzi (Salerno).







Foto di San Michele che uccide il dragol'Abbaye Bénédictine Notre-Dame de Nevers, XII secolo. Credit: ©Wikipedia.

Foto e video della "Grotta di Sant'Angelo" per gentile concessione di ©Mario Tambasco.

Foto della "Fontana di San Nicola", tratta da Mario Mello, Da Poseidonia a Caputaquis Medievale, pag. 66, Ed. Torre, Roma, 2018.

NOTE:

1 - AC, XLIII, 44, agosto 1192, “in loco Paganigni ubi ad S. Angelum dicitur”.

2 - C.D.C., MCLXXXVII, ottobre 1053, 212.

3 - C.D.C., MCLXXVIII, marzo 1053, 198.

4 - G. Bamonte, Le antichità pestana, pag. 117, Napoli, 1819.

5 - A Rodigliano sono anche indicate le chiese di S. Giorgio e quella di S. Giovanni.

6 - Vedi nota precedente. 

7 - In realtà la prima apparente menzione della chiesa è del 963 (C.D.C., II, 13, febbraio 963) dove si legge “per manus domno petrus abbas sancti archangeli, qui constructum est in mons capacii”, ma è dubbia. È infatti considerata da Pietro Ebner ed altri una trascrizione errata da parte dei compilatori del Codex, perché il donante in questo atto espressamente chiarisce di essere “natibo de lauriiana” (Laureana) ed “abitator in locum ancilla dei”, toponimi antichi propri del Cilento, per cui andrebbe letto come “Mons Corraci” con riferimento all'antico monastero omonimo di Perdifumo (P. Ebner, Economia e società nel Cilento medievale, 2 vol., pag. 50) 

Inoltre un'altra menzione ad una generica “ecclesia sancti angeli” è in un atto del febbraio del 1053. C.D.C., MCLXXXVII, ottobre 1053, 212/213.

8 - C.D.C., MCLXXVIII, marzo 1053, 198/200.

9 - Fu il capostipite dei Conti di Tuscolo, potentissima famiglia nobile romana. Teodora, sua figlia, era quindi nipote di Papa Benedetto IX.

10 - Pandolfo (1010 - 1052) fu signore (dominus) di Capaccio. Era il figlio minore del principe Guaimario III di Salerno (allora il Principato di Salerno era uno stato indipendente) e della sua seconda moglie Gaitelgrima. Con la morte del suo fratellastro, il principe Giovanni III, nel 1018 ereditò la signoria di Capaccio. Ma è in un documento Cavense del 1092 che abbiamo cognizione di come la divisione del principato tra gli eredi di Guaimario III è stato definitivamente effettuata già nel 1042, con il più anziano, Guaimario IV , che prende la guida del principato, il secondogenito Guido, che riceve il ducato di Sorrento e Pandolfo invece la Contea di Capaccio. 

Questa divisione tra gli eredi della famiglia regnante di Salerno ci dice come Caputaquis - Capaccio fosse importante sotto il profilo politico ed economico, tanto da essere indicata come signoria di un erede della casa regnante del tempo.

11 - “liver comiti duo, antifonaria de die unum et aliu de nocte, psalteria dua, omelia quaterni vigintiquinque, turibulu de argentu unu, planeta de siricu una, amittu de seta unum et unum orale sestaci de siricu unu, pannos sericos tres, manuli de siricu duo, et orale de siricu unum. Alii orali de linu quattuor, amictora tres, planete de linu due, duo camisa, cingulu unum, et due cortine, sindones quattuor, turibula de rame dua, iuppa una, backe due cum filii dui, dua paria de vovi cum omnia illorum paraturia, asini quattuor, iomenta unam, backe alie due, butti da vinum nobem et tratturia unam, tratturia da vittu tres et tine nobem, capre undecim, edos septem, capessuni tres, obes tres,

peculiu unum, et de porci scurie due et porca scuri tres, in auro solidi quattuor, scutelle quinque, duo alvari, colcitra una, plaione unum, lena polemita una, setazza dua, cribu unum”.

12 - “inclite vinee quo est beneficium iamdicte ecclesie in ipso supranominato locum, cum inclita rebus et pomis, qui fuit nominatibi radoaldi presbiteri subtus sancti clementi, et inclite terris lavoraturie, que sunt per fine caputaquis, et fuerunt rebus pertinentes predicti sesami et modo est pertinentes iamdicti nostri seniori...”

13 - A.B.C., XII, 67, luglio 1068.



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