lunedì 7 settembre 2009

IL MONTE FRUMENTARIO DELLA PIETA' (1845 ­ 1870) II parte


Abbiamo visto nel precedente post come numerosi cittadini capaccesi cercassero di evitare di essere nominati amministratori del Monte Frumentario sia perché dicevano di  di essere non idonei ("inalfabeti") sia perché desiderosi di sfuggire a “malevolenze” e “calunnie”.

Cartolina della Capaccio inizi '900.


Numerose furono, in verità, i rilievi che il Consiglio d'Intendenza fece sui Conti Materiali di quel benefico ente. Si andava dalle semplici irregolarità amministrative (la mancanza di documentazione attestante la locazione e le spese relative ai magazzini del grano, i verbali di consegna nei cambi di amministratori, ecc.), a omissioni (quale quella della mancata chiusura dei magazzini con i 3 catenacci “regolamentari”), alle vere e proprie irregolarità contabili (come la mancanza di
“crescimonio”) o abusi (l'occultazione di grano sul capitale del Monte).

Non pochi furono anche gli amministratori multati o condannati a risarcire il Monte Frumentario.
Emblematico è il caso relativo alla gestione economica del 1847­'/48.
In mancanza del conto di gestione di quegli anni, l'Intendente fece intervenire il capo della Guardia Nazionale (una polizia locale composta da civili), il Barone de Marco, affinché investigasse.
Questi invitò il sindaco, gli amministratori del Monte ed un “incaricato del parroco” a recarsi ai magazzini dove era stoccato il grano, e misuratolo si rilevò una mancanza di tomoli 14:12. Inoltre il de Marco accertò numerose “irregolarità con cui si è proceduto del Decurione supplente (un'amministratone comunale) da Sindaco nel custodire la terza chiave voluta dalla legge, ma che anzi fa stare solo due serrature”, che il “non aver dato i Conti è dipeso da questo Cancelliere
comunale che richiesto si è rifiutato, ed agli ultimi” (amministratori del Monte) “nel richiedere la redazione del conto del passato anno hanno posto doversi redigere prima quello dei passati anni”. Inoltre “che dovendosi formare alcuni atti coattivi il cancelliere ricevè dagli Amministratori un mezzo tomolo di grano, ed intanto niuno atto redatto né il grano ha restituito, e che dovendosi pagare l'affitto del magazzino dello scorso anno colonico ammesso sullo Stato Discusso per un tomolo e mezzo, ne hanno invece fatto pagare ducati 5”.
Tutto ciò portò il de Marco a chiedere di “infliggere contro tali morosi multa di tomola 10 di grano a beneficio del Monte...onde ciò fosse di esempio per l'avvenire”. All'Intendente Spaccaforno chiese “di continuare a vigilare (sullo) stabilimento, che si vorrebbe assoggettare al monopolio, non appena creato”.
La severità e la pronta azione del barone De Marco furono necessarie affinché si evitasse nel futuro la gestione del Monte come cosa “privata” da parte dei suoi amministratori. Ciò in un periodo in cui si andava rafforzando il latifondo e le tensioni sociali ed economiche (e aggiungiamo politiche) si facevano più pesanti.

Purtroppo malgrado i rigidi controlli dell'amministrazione centrale borbonica i casi di malversazione ai danni di queste benemerite opere pie non era no rare, peggio andò nel periodo post unitario a causa di una normativa più lassista introdotta col Regno d'Italia.

Il caso del vicino comune di Trentinara è emblematico.

Il sindaco e presidente della Congrega di Carità, Giuseppe Cavallo, denuncia nella"Relazione del Monte Frumentario del Comune di Trentinara" al Sotto Prefetto di Campagna in data 16 Dicembre 1884 della spoliazione realizzata da due suoi concittadini del patrimonio del pio ente. 


Quanto dolore e scandalo i fratelli Antonio e Giovanni Ciuccio avessero apportato all'intera popolazione di Trentinara, in provincia di Salerno, in questi tempi di perfetto disordine morale, è cosa più facile ad innestarsi in un quadro di romanzo, che credersi possibile. Essi, il primo come Segretario della Congrega di Carità, e l'altro come amministratore del Monte Frumentario, hanno dato luogo a fatti, che ogni anima nata al rispetto della cosa pubblica e d'ogni sacro interesse dei poveri si sarebbe sentito bruciare le mani e la mente a consumarli, e che, essendo di ragion pubblica, e risultanti da pubblici atti, son meritevoli d'esser denunziati al tribunale della pubblica opinione, frattanto che già la giustizia sociale vi va compiendo su il suo diritto in nome dell'umanità offesa.
In edificazione adunque delle autorità competenti, e dei paesi circostanti, e più ancora in soddisfazione dei miei stessi concittadini tanto ingratamente trattati da due uomini, che nella fiducia loro affidata, e nella nobiltà del loro ufficio avrebbero dovuto trovare il principio della maggiore onorabilità, io, avendo in mano, in qualità dì Presidente della Congrega di Carità tutta una materia di usi e di abusi perpetrati sul sangue e sulle lagrime dei poveri, tengo qui a far palese come quegli uomini in quella fiducia non seppero trovare che l'ideale dei momenti fortunati, ahi troppo comune agli spiriti moderni, e il caso di sfogare e soddisfare il sentimento della più libitinosa voracità.
In una sola parola essi, nelle qualità su espresse, si han divorato tutto il Monte Frumentario, ricco e secolare patrimonio dei poveri del nostro Comune. Ma acciocché gli altrui apprezzamenti non sieno suggestione dei miei, acciocché la bilancia della stima e del disprezzo pieghi libera e sincera per la parte che realmente pesa, e perché su fatti si giudichi e non su parole, in luogo di estrarre e narrare i fatti, pubblico testualmente gli atti, donde risultano, che sono quelli seguiti posteriormente alla disastrosa catastrofe degli egregi amministratore e segretario sulle gestioni dei Commissarii, mandati a salvare il salvabile, ma infruttuosamente.
Io intendo, scevro d'ogni animosità personale, di compiere il mio dovere. Ogni perplessità sulla presente pubblicazione scomparisce nella mia mente, quando penso, che è un delitto ancor esso il silenzio, quando per esso il delitto, se v'ha, come giudicheranno il magistrato competente e la pubblica opinione, debba rimanere sempre occulto, e forse anche tollerato.
Dicano, che vogliano! Essi ed altri checché sapranno inventare sul mio conto, io risponderò col Petrarca:
Io parlo per ver dire 
Non per odio d'altrui, nè per disprezzo.
Salerno, 20 ottobre 1885 

 A completamento di quanto detto e per meglio permettere la comprensione di quanto è stato esposto voglio ricordare che gli amministratori del Monte durante l'amministrazione borbonica dovevano redigere lo “Stato per la distribuzione del grano” per ogni anno colonico, nel quale sono indicate le generalità degli assegnatari del grano, l'estensione dei terreni preparati, la contrada di ubicazione, i proprietari dei fondi che si volevano mettere a coltura e l'effettiva quantità di grano distribuita a ciascun richiedente; “lo Stato Discusso”, cioè il bilancio di previsione con le entrate e le uscite previste; il Conto Materiale, cioè il bilancio consuntivo. Sia sugli Stati Discussi che sui Conti Materiali il Consiglio d'Intendenza esercitava la sua funzione di organo anche di controllo contabile.

Col 1863, però, la legislazione del nuovo stato unitario pose fine all'istituto dei Monti Frumentari impedendone la nascita di nuovi, anzi con la legge del 10 marzo 1865 pose i sopravviventi, in qualità di Opere Pie, sotto la tutela delle Deputazioni Provinciali. Peggio la nuova normativa abolì l'obbligo degli amministratori dei Monti Frumentari di rendicontare il loro operato con la presentazione di bilanci preventivi e la verifica di quelli consuntivi. 

Venuti meno i controlli, chi amministrava fu libero di compiere ogni abuso, così il patrimonio di tali enti benefici furono aggrediti dalla cupidigia dei meno onesti comportandone la fine. 

Col nuovo secolo però nacquero nuove istituzioni di credito con funzioni sociali: le Casse di Risparmio e le Casse Rurali ed Artigiane.
Ma questa è un'altra storia.